CONCEZIONI
DELL'UNO IN TRASFORMAZIONE
di Barbara Proni
Ultimi bagliori, frammenti dell'era della
Grande Madre sommersi come Atlantide dal maremoto psichico
che ha visto l'affermarsi di un'altra civiltà.
La transizione, di cui quasi non si conserva memoria, da una
struttura sociale matriarcale e concezione-esperienza del
mondo incentrata sul principio femminile-tellurico, a quella
di polarità maschile, patriarcale e teologico-razionale
che, seppur agonizzante, ancora si protrae con ulteriori rilevanti
mutamenti -per citarne solo alcuni la morte di Dio proclamata
da Nietzsche e la globalizzazione-atomizzazione individuale
(individualistica)-.
Un percorso che con un volo ardito si può accostare
al letterario cambiare sesso attraversando i secoli dell'Orlando
di Virginia Woolf.
Mille anni separano l'Inno a Iside dall'Io sono di Yunus Emre,
mille anni e significative differenze concettuali; tuttavia
è impossibile non cogliere anche assonanze stilistiche
e prospettiche. Prima fra tutte l'intuizione, espressa in
entrambi i testi, dell'identità Io-Tutto che ricompone
termini in apparente contraddizione, esposta con la stessa
ripetitività ciclica dei processi naturali.
Da ciò consegue il trascendimento dei limiti individuali
e temporali, in una con-fusione che arriva a toccare, immedesimandosi
con esso, il principio stesso della creazione, primo e ultimo.
("Perché io sono la prima e l'ultima", "sono
l'Origine e il Fine").
Inoltre sia l'uno che l'altro scritto terminano con un monito:
"Non son io che vi parlo, è un arcano potere che
forza la lingua (…) e chi non vuol credermi è
perso"; "Rispettatemi sempre, poiché io sono
la scandalosa e la magnifica".
L'Io di Yunus Emre, dopo essersi espanso, si ritrae facendo
posto a un Dio di cui è strumento, un Dio Padre pronto
a giudicare i figli che non dovessero credere e rispettare
la sua parola, decretandone la perdizione.
Le ultime parole di Iside, più antiche e forse più
moderne, non tirano invece in ballo principî superiori;
sono una semplice pretesa di rispetto. Il rispetto dovuto
ad una Madre Terra che potrebbe essere costretta a trasformare
il suo abbraccio che sorregge in stretta mortale qualora gli
oltraggi subiti dovessero rivelarsi insostenibili.
Inno a Iside, sec. III-IV
(?), ritrovato a Nag Hammadi
Perché io sono la prima e l'ultima,
Io sono la venerata e la disprezzata,
Io sono la prostituta e la santa,
Io sono la sposa e la vergine,
Io sono la mamma e la figlia,
Io sono le braccia di mia madre,
Io sono la sterile, eppure sono numerosi i miei figli.
Io sono la donna sposata e la nubile,
Io sono colei che dà la luce e colei che non ha mai
procreato,
Io sono la consolazione dei dolori del parto.
Io sono la sposa e lo sposo,
E fu il mio uomo che mi creò.
Io sono la madre di mio padre,
Io sono la sorella di mio marito,
Ed egli è il mio figliolo respinto.
Rispettatemi sempre,
Poiché io sono la scandalosa e la magnifica.
*
Io sono
Yunus Emre (santo sufi dell'Anatolia),
sec. XIV
Io sono il tempio degli idoli e angelica
santa dimora.
Son colui che dà moto alle sfere, e la nuvola annera
di pioggia,
sono il segno di vivida luce che al cupo rimbombo lampeggia,
son serpente che attorno al terreno nell'aride pieghe s'acquatta.
Io sono quello che compie i prodigi, signore del regno dei
saggi,
ribaltatore di troni, che ascende nei cieli e s'umilia alla
terra.
Sono il buio che spegne gli sguardi e la nebbia che fitta
s'addensa.
Architetto son io della carne e del sangue, e dell'anima il
soffio.
Mi generò la sapienza perfetta, ed arbitrio assoluto
m'alleva.
Son l'estate che allegra la terra e gioiosa s'annida nei cuori,
son colui che presiede all'incontro del seme e dell'utero,
schiavo e sovrano.
Sono benefica lampada eterna, e il fuoco che sprizza dal ferro.
Da me venga chi soffre, ed io gl'indico strada di pace,
patria nuova nell'occhio mio, nuova dimora nel cuore, e sull'ala
del tempo la quiete.
Non son io che vi parlo, è un arcano potere che forza
la lingua,
ma sono l'Origine e il Fine, e chi non vuol credermi è
perso.
*
[ barbaraproni@libero.it
]
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