RECENSIONI       O r s a   M a g g i o r e

 
   

 

 

 

UNPROGGED di Bernardo Pacini
[http://www.unprogged.com/showthread.php?t=7102]

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ROCKERILLA

Dopo il visionario Tutta la dolcezza ai vermi,
l’esistenzialismo espressionista dei Pane torna a manifestarsi in nove tracce inquiete e stranianti,
frutto di una progettualità rigorosa sempre più scollegata della forma-canzone
e ricche di riferimenti colti che spaziano da Bufalino a Majakovskij.
In una dimensione acustica in cui convivono sospensioni oniriche e violente
agglomerazioni sonore che segnano incolmabili distanze sia del folk che dal prog più classico,
il pianoforte la chiatarra acustica e il flauto intessono trame di decadente poesia che si nutrono
dell’accostamento di un lirismo memore delle lezione di Debussy e Satie a una vibrante tensione epica,
su cui Claudio Orlandi libera la sua vocalità capace di ferocia e tenerezza.

Alessandro Hellmann

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L'ISOLA CHE NON C'ERA

«Io credo che con qualche esempio più chiaramente spiegherò il mio concetto»,
afferma Galileo Galilei che insieme a Vladimir Majakovskij, Gesualdo Bufalino e Victor Cavallo
sono solo alcune delle suggestioni che i Pane ci offrono con Orsa Maggiore.
Il terzo disco della band capitolina riconferma la qualità della proposta e rilancia
un progetto di grande impatto per il suo essere delicato e materico, maschile e stellare.

Orsa Maggiore penetra l'ascoltatore nel fondo, senza fronzoli e senza manierismi,
efficace nel suo essere sfrondato e variegato, minimalista, acustico, con piglio folk rock,
attitudine prog ed elettricamente jazz, se proprio si vuol ragionare con le etichette.
Il quintetto con chitarra, batteria, flauto e pianoforte tesse una trama sonora/emotiva
che gioca su estasi e tremori, sorrisi e tormenti, oppure, per usare le parole del brano
pianoforte e voce Fiore di pesco, un «lampo freddo che illumina a giorno».

Nove brani potenti e ben strutturati, è difficile non rimanere colpiti sin
dai primi minuti dalla maturità artistica dei
Pane, dalla bellezza dell'impetuosa
L'Umore e godere della percussiva e quasi-tarantella di Orsa Maggiore
(riadattamento de La Nostra Marcia di Vladimir Majakovskij) come è arduo non essere
conquistati da
Samaria (la rilettura del Lamento Del Viaggiatore di Gesualdo Bufalino)
dove si incede «per questa strada che non conosco/ per questo tempo che non è il mio».
Parole e musica, teatro e canzone, narrazione e immaginazione sono le chiavi di lettura
di
La Pazzia che prelude all'ardita Cavallo (testo di Item tratto da Ecchime,opera di Victor Cavallo),
dove l'interpretazione e la grana della voce di
Claudio Orlandi sono incisive.
Un respiro pieno apre
Tutto l'amore del mondo, quasi a voler ribadire che anche se tutto è costruito,
nulla è artificioso a partire anche dal libretto: da scoprire il Trittico dell'epifania di Madrid di
Bosch all'interno.
Costellazioni sonore ed emotive per un gruppo prezioso, che nel prossimo futuro potrebbe stupire ancora di più.

Francesca Grispello
[http://www.lisolachenoncera.it/rivista/recensioni/orsa-maggiore]

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L’Isola che non c’era ha inserito Orsa Maggior tra i migliori 25 dischi italiani del 2011.

 http://www.lisolachenoncera.it/rivista/primi_piani/c/

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XL di Repubblica (n° di Dicembre 2011)

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JAM (n° di Dicembre 2011)

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DISTORSIONI

Alla fine del 2011, anno piuttosto avaro di uscite discografiche italiane, ecco spuntare un'interessante novità ad opera di una formazione dal nome semplice e popolare: Pane.

La band romana composta dal pianista Maurizio Polsinelli, il chitarrista Vito Andrea Arcomano, il batterista Ivan Macera, il flautista Claudio Madaudo e Claudio Orlandi alla voce, giunge oggi alla sua terza prova discografica. Dopo un album omonimo autoprodotto pubblicato nel 2003 e "Tutta la dolcezza ai vermi" del 2008, il nuovo lavoro della formazione segna un ulteriore passo avanti nella ricerca di uno stile personale in quanto a suggestioni poetiche e musicali.

La musica permea di emozioni e ben si amalgama alle parole ed alla voce vibrante di Claudio Orlandi (impossibile non pensare al grande Demetrio Stratos), che scrive i testi e in qualche occasione riadatta quelli di Bufalino, Cavallo, Majakovskij. Un disco che sembra il seguito naturale del lavoro precedente e che rivolge lo sguardo verso l'alto: un invito ad alzare la testa anche in senso civico e politico come ammette lo stesso Orlandi. Il lavoro sorprende per la sua capacità di fondere insieme uno stile cantautorale di matrice progressive ed atmosfere folk e jazz. Il tutto in una dimensione onirica teatrale davvero unica. L'ammaliante dolcezza de L'umore; l’inquietudine che scorre in Gocce; la tensione esplosiva della title track (liberamente adattata da "La Nostra Marcia" di Vladimir Majakovskij); i 10 minuti desertici dedicati alla biblica terra d'Israele di Samaria (liberamente adattati dal "Lamento del Viaggiatore" di Gesualdo Bufalino); l'estasiante respiro di Tutto l’amore del mondo; il delirio sonoro e poetico di Cavallo (liberamente adattato da "Item", di Victor Cavallo) sono il quadro generale di un impasto musicale davvero accattivante per un album dall’impatto viscerale. Una costellazione di emozioni.

Michele Passavanti
[http://distorsioni-it.blogspot.com/2011/11/pane-orsa-maggiore-data-uscita-30.html]

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PROG ARCHIVES . com

[eng. vers.]    I've recently come across some RPI reviews that rather boldly assert that the albums in question are not in the least progressive. I don't really have a beef with anyone for these kinds of comments but if certain critics spent more time off their Victorian thunderboxes they'd maybe see there's no chaos in the cosmos, no toppling masonry and no barbarian hordes storming the PA barbican. And if they want 'genuine' prog there are always the hundredfold Genesis soundalike bands from which to choose. The point here is that 'Orsa Maggiore' is exactly the type of album that's sure to exasperate such critics.

Now I don't use a slide-rule to measure the masses, positions and directions of an artist but intuition tells me these guys are progressive. Having said that, if you go through the checklist with Pane in mind you'll find they are well within the boundary lines of RPI - piano and flute combo, bold operatic vocals, wild spirit and eclectic flair, Italian folk, songs tradition, classical influence, and Italian language. Mind you, the last item there is actually where I find the main problem arises with the album. The texts are of central importance and any attempt to unravel the Italian lyrics using online translations will bear little fruit. It's not just that these translations don't cut the proverbial mustard; they don't leave so much as a superficial scratch on its surface.

For example the album's most ambitious piece, 'Cavallo', is adapted from a collection of works by Victor Cavallo. Cavallo was perhaps best known as an actor and playwright but was also a writer of vibrant, spontaneous street poetry and he revitalised the Roman dialect. The song 'Cavallo' is an epic of existentialism, intense and uncompromising, in the form of an aggressively masculine poetry recital with sparse musical accompaniment. Singer Claudio Orlandi has been compared to Demetrio Stratos and the dramatic changes in register of his voice transmit menace, turbulence and a genuine sense of power. The song sounds like the soul-searching ruminations of a madman, with nervously strummed guitar and piano clusters occasionally chiming in like aimlessly wandering psychological fragments.

By way of contrast the album does contain some moments of genuine beauty, of which the opening song 'L'Umore' is typical. It's a revelatory composition depicting the human condition and featuring a stunning Mediterranean melody and wonderful flute. Themes of madness, of journeys and of love seem to run through the album and I would dearly love if one of our Italian friends would provide a skeleton key to the album. The meaning behind the title-track is easier to grasp and is based around an Italian interpretation of a poem by Vladimir Mayakovsky, one of the leading poets of Russian Futurism. Mayakovsky defined his work as 'Communist Futurism' and his revolutionary socialist beliefs are boldly represented in this piece: 'Up, row of proud heads / We will wash every city in the world / With the surging waters of a second Flood.' This song is more upbeat with prominent flute and drums marching in the rhythm of a folk dance.

Overall this album leaves me feeling frustrated, mainly because the texts are of such importance and I think a deep understanding of Italian is required to get the most out of the music. And try to forget about any comparisons you might have seen to bands such as Banco and Area. Pane are fairly minimalist and are closer to avant-folk poetry, artists like Juri Camisasca and Angelo Branduardi spring to mind, and as such I can really only recommend this to hardcore RPI fans. 2.5 stars really!

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[it. vers.]    Ho incrociato di recente alcune recensioni di album di Rock progressivo italiano che dicono che gli album in questione non sono nemmeno progressive.
Non ho nulla contro chi fa questo tipo di commenti ma se certi critici passassero più tempo al di fuori delle loro "scatole vittoriane" potrebbero scorpire che non c'è caos nel cosmo, nessun complotto massonico e nessuna orda barbarica in arrivo. E se volessero del progressive genuino ci sono sempre centinaia di cloni dei Genesis in circolazione tra cui scegliere. Il punto è che "Orsa Maggiore" è il disco che esaspererà questi critici. ora, io non uso un metro per misurare posizione, massa, direzione di un artista ma l'intuito mi dice che questi ragazzi sono "progressive". Scorrendo la lista degli elementi tipici troverete che i Pane sonono ben all'interno di quello che può essere considerato "rock progressivo italiano", piano e flauto, voce coraggiosa ed enfatica, spirito selvaggio ed eclettismo, folk italiano, nella tradizione della canzone, influenze classiche e cantato in Italiano. Badate, sono questi i due punti in cui ho i maggiori problemi con quest album. I testi sono di importanza centrale ed ogni tentativo di tradurli utilizzando dei traduttori online porta pochi frutti. Non si riesce a cogliere l'effetto, solo un graffio sulla superficie.

Per esempio, il brano più ambizioso dell'album "Cavallo", è un adattamento da una raccolta di lavori di Victor Cavallo. Cavallo è stato forse più famoso come attore e scrittore teatrale ma è stato anche uno scrittore di vibrante e spontanea poesia di strada ed ha ridato vita al dialetto romano. La canzone "Cavallo" è un'epica di esistenzialismo, intensa e senza compromessi, nella forma di un recital di poesia, aggressivamente maschile (o, meglio, tradurrei, "maschio") e con un accompagnamento musicale caotico. Il cantante Claudio Orlandi è stato paragonato a Dempetrio Stratos ed i suoi "drammatici" cambi nel registro della voce trasmettono minaccia, turbolenza ed un genuino senso di potenza. La canzone suona come le riflessioni in cerca di anima di un pazzo, accompagnati da una chitarra suonata nervosamente e da inserti di piano che entrano come frammenti di psiche che vagano senza speranza.

In contrasto l'album contiene alcuni momenti di genuina bellezza, tra questo "L'umore", la canzone che apre. E' una canzone rivelatoria sulla condizione umana e contiene una convincente melodia mediterranea ed un flauto meraviglioso.

I tempi della pazzia, del viaggio e dell'amore percorrono tutto il disco ed mi piacerebbe che qualcuno dei nostri amici che parlano italiano riuscisse a farci avere una chiave di lettura per l'album.
Il significato dietro alla title track è più facile da comprendere ed è costruito intorno ad un adattamento italiano di un poema di Vladimir Mayakovsky, uno dei maggiori esponenti del futurismo russo.
Mayakovsky ha definito il suo lavoro come "futurismo comunista" e le sue idee socialiste sono fieramente rappresentate in questa canzone 'Up, row of proud heads / We will wash every city in the world / With the surging waters of a second Flood.(adattamento inglese del testo di M.)'. La canzone è più ritmata, con un flauto in primo piano e la batteria che marcia in un ritmo di una danza folk.

In complesso quest album mi lascia frustrato, soprattutto perché i testi sono di una così grande importanza e penso che sia richiesta una conoscenza profonda dell'italiano per poter comprendere al meglio questa musica.
E, provate a dimenticare ogni paragone con band come Area e Banco. I Pane sono piuttosto minimalisti e sono più vicini alla poesia avant-folk di Juri Camisasca ed Angelo Branduardi, ed io posso solo raccomandarli ai fan più accaniti del progressive rock italiano. 2,5 stelle, in realtà! (in riferimento al voto)

seventhsojourn
[http://www.progarchives.com/album-reviews.asp?id=35455]

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RELICS

Un lavoro del progetto Pane è un qualcosa di piacevole.
Molto.
Curato, particolare, intelligente...
Dopo Tutta la dolcezza ai vermi, la formazione torna con un nuovo capitolo intitolato Orsa maggiore.
Nove tracce appena, racchiuse da un digipack dai colori autunnali, che esprimono una mescolanza di suoni e strumenti sapientemente calibrati.
E' consigliabile, possibilmente, evitare qualsiasi superficiale definizione che possa scaturire da un ascolto distratto.
Orsa maggiore non è un lavoro jazz, nè un disco folk e neanche un' opera progressive. E' di quanto più personale e originale possa godere una produzione del panorama musicale attuale.
Per questo è superfluo un (anche impegnato) tentativo di etichettare sotto un genere i Pane.
Probabilmente è il motivo che li ha spinti ad aprire il loro booklet con una massima di Galilei che recita:”Io credo che con qualche esempio più chiaramente spiegherò il mio concetto”.

E l'unico esempio fattibile è un assaggio della loro musica.
Orsa maggiore si presenta con il brano L'umore, subito uno dei picchi di bellezza più alti del lavoro.E' una piccola poesia emozionante ed emozionata, tessuta da belle liriche, musica poetica ed un' esecuzione canora lodevole.
Il disco è una continua prova di classe ed eleganza tra le interpretazioni, spesso "teatrali", di Claudio Orlandi e la musica dei suoi compagni, composta esclusivamente da parti di piano, batteria, flauto traverso e chitarra acustica.
Troviamo altri momenti degni di un plauso nella malinconica Tutto l'amore del mondo e la conclusiva Alla luna, dove la ricetta dei cinque viene proposta ancora una volta nel migliore dei modi.

Una certa inclinazione alla poetica di Orlandi si manifesta negli omaggi racchiusi nelle tracce del disco, come Cavallo, che vede un libero adattamento di testi dell'omonimo Victor, o anche Samaria, dove si attinge al Lamento del viaggiatore di Gesualdo Bufalino e ancora Orsa maggiore, brano che richiama il titolo dell' album che evoca La nostra marcia di Majakovskij.
La struttura del lavoro è completata dalle tracce Gocce e Fiore di pesco, i due più chiari esempi della ricerca della forma teatro – canzone del gruppo e La pazzia, piccolo ulteriore esempio della raffinatezza che sanno regalare in musica e versi.
Ed anche con una fruibilità, forse, non così prevedibile.

Il progetto Pane può basarsi su dei musicisti di primo ordine e su una raccolta di testi ricchi ma senza ampollosità.
E' probabilmente un pregio di un gruppo nato già maturo.
Le altre peculiarità racchiuse in questo Orsa maggiore attendono di essere trovate solo da curiosi ascoltatori.
Probabilmente ringrazierete Claudio Orlandi, Maurizio Polsinelli, Vito Andrea Arcomano, Claudio Madaudo e Ivan Macera.
Probabilmente ringrazierete i Pane.

Bernardo Fraioli

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RAW & WILD

Uno dei luoghi comuni del rock è quello “terzo disco, disco della svolta”. Questo concetto ha anche una sua declinazione: “il terzo album è il migliore”. Al di là degli stereotipi e delle formulette matematiche, Orsa Maggiore, lavoro che segna il ritorno sulle scene dei Pane a tre anni di distanza dalla pubblicazione di Tutta La Dolcezza Ai Vermi e a otto dall’esordio omonimo, è un capolavoro. Nessuno come loro in passato è riuscito a coniugare al meglio la tradizione progressiva italiana con la stretta attualità. Orsa Maggiore è un album che avrebbe avuto un senso trenta-quaranta anni fa e che ne ha uno anche oggi. Il quintetto, composto da Maurizio Polsinelli (piano), Vito Andrea Arcomano (chitarra), Ivan Macera (batteria), Claudio Madaudo (Flauto) e Claudio Orlandi (voce), ha buttato giù nove brani di elevato valore musicale e lirico.

Pur essendo un album prettamente acustico, OM riesce, grazie alla perizia tecnica dei musicisti, a risultare vario: si passa da momenti più vicini al jazz-blues a quelli di stampo più classicamente rock, senza tralasciare passaggi dal forte sapore epico, psichelico ed etnico. Ho sempre ritenuto la voce una delle pecche più grandi del progressive nostrano, grandi cantanti ce ne sono stati pochi: Francesco Di Giacomo, Demetrio Stratos (se gli Area possono essere considerati prog) e pochi altri. Invece la voce di Claudio Orlandi è splendida, evocativa e teatrale.

Questa peculiarità fa apparire i Pane come una sorta di incrocio tra Perigeo (la formazione jazzistica del combo si sente) e Banco Del Muto Soccorso. Ho accennato anche a come l’aspetto strettamente lirico sia molto curato, al di là delle citazioni a Vladimir Majakovskij (“Orsa Maggiore”), Gesualdo Bufalino (“Samaria”) e Victor Cavallo (“Cavallo”), la band riesce ad andare oltre gli stereotipi del genere risultando allo stesso tempo colta e non spocchiosa. Detto che “Samaria” è il brano migliore del lotto, non mi resta che consigliare a tutti quanti questo lavoro, il migliore, a pari merito con Kalachakra del Ballo Delle Castagne, in ambito progressive (e non) del 2011!
Voto: 9/10

g.f.cassatella
[http://www.rawandwild.com/review/review.php?id=Pane&fb_source=message]

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IL MUCCHIO . it

Se c'è una cosa che noi italiani sappiam fare meglio degli stranieri – è ora di dirlo! – è il pane. Ci viene proprio bene, impastare, infornare, sgranocchiare, in mille forme diverse, con amore e fantasia. (Solo a Bologna non sanno farlo, poveri loro, ma non è il caso del Progetto Pane, che viene dalla capitale, meno male.)In otto anni, questa è la terza infornata del gruppo formato dall'aggraziato pianista Maurizio Polsinelli, il bravo chitarrista Vito Andrea Arcomano, il batterista in tinte jazz Ivan Macera, il flautista Claudio Madaudo e Claudio Orlandi alla voce calda e demetriostratosiana – senza le qualità ultraterrene e polifoniche del greco andato, sarebbe stato un miracolo – e ai testi precisi e pregevoli, sovente spulciati da tutt'altro campo, quello della letteratura (la title track da Majakovskij, “Samaria” dal sempre troppo poco conosciuto Gesualdo Bufalino, e “Cavallo” da, pensa un po', Victor Cavallo). Nove canzoni – e per una volta, fa pure piacere usare “canzoni” al posto del solito anonimo “tracce” – per cinquanta minuti di folk-progressive all'italiana, in un disco registrato magistralmente, cui la sola critica che si può muovere è forse l'eccessivo dispendio di energie cerebrali durante l'ascolto di ogni singola nota per ognuno dei quattro strumenti coinvolti e delle parole messe sapientemente in fila da Orlandi (o dagli scrittori di cui sopra).“Orsa Maggiore” si fa gustare davvero, da solo o in compagnia di un certo rock intellettuale e datato del Belpaese che fu. Un disco buono. Come il pane.

Marco Manicardi
[http://www.ilmucchio.it/fdm_content.php?sez=scelte&id=2051&id_riv=93]

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SENTIRE ASCOLTARE

A tre anni dallo splendido esordio Tutta la dolcezza ai vermi (senza contare l'omonimo autoprodotto del 2003), tornano i Pane col loro folk impregnato di radici jazz, colta, etnica e palpabili impronte progressive. Un folk-rock prima del rock, acustico (chitarra, batteria, flauto traverso, pianoforte) ma scosso da un'energia che presagisce elettricità, il lirismo che si nutre di inquietudini antiche come base e sfondo di una crisi contemporanea, carburante di un carosello di dramma, abbandono, estasi e dolore.

Ogni traccia un atto di questa tragicommedia umana troppo umana appesa al filo della voce vibrante e stentorea di Claudio Orlandi, leader del combo, interprete dalla vasta e furibonda sensibilità che diresti discendere in qualche modo dalle evoluzioni terrigne e febbricitanti d'un Demetrio Stratos e di Tim Buckley. Testi originali (di Orlandi) e liberi adattamenti da Victor Cavallo, Gesualdo Bufalino e Majakovskij compongono una trama di suggestioni gravi ed ebbrezza vivida, di inquietudine stordente (l'opener L'umore, una La pazzia che reca traccia dei deragliamenti scentrati Syd Barrett), di trasporto onirico (Alla Luna, quella Tutto l'amore del mondo dall'ubriacante finale) e fregole dionisiache (la title track), sfoderando l'acme emotivo quando la narrazione si aggira dirompente affrescando sanguigni scenari storici (Cavallo, Samaria).

Disco complesso ma dall'impetuosa, penetrante immediatezza, che ti spinge - bontà sua - a sintonizzare la ricezione su frequenze desuete, a riposizionare il tuo ruolo stesso di ascoltatore. Disco straordinario che ribadisce la statura dei Pane, realtà tra le più peculiari d'un Paese che, quando ci si mette, sa sfornare situazioni di livello assoluto.

Stefano Solventi
[http://www.sentireascoltare.com/recensione/9259/pane-orsa-maggiore.html]

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Il Venerdì di Repubblica (28.10.2011)
 
 
 
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L'INDIEPENDENTE

Farsi ingoiare, ogni volta che ritorna in circolazione, dalla poetica colta dei romani Pane, è cosa d’assoluta esigenza, è un piacere stordente essere prigionieri della loro smania feroce e dolce che tutto stravolge, sperimenta e decostruisce tra le lacerazioni di un Carmelo Bene e i voli insondabili del progressive di stampo BMS; “Orsa maggiore” è il nuovo concept che la band – che vede sempre alla voce l’espressionistica fulgida di un Claudio Orlandi in continua e perfetta forma - rilascia a tre anni da quel formidabile “Tutta la dolcezza dei vermi”, ed è un piacere visionario assolutamente genuino di jazzly, prog, rigori rock-folk e poesia al cubo, mai deflettendo da un’etica che rimane onestamente in alto, non per tutti o per graziati eletti.

L’Orlandi scrive i testi e riadatta quelli di Bufalino, Cavallo, Majakovskij, e la musica è tutto un cromatismo rosso porpora che ha la dimensione teatrale e la forma canzone di un onirico perpetuo, bilico tra fisica e impalpabile, forza e delirio che si avvinghiano come meduse in un romanticismo di fondo malato, ma convalescente se preso dalla parte della sua infernale paradisicità; tensione di corde vocali, chitarre che arpeggiano in uno status di calma apparente, muscoli e spiritualità pronte a scattare come un morso di vipera e un’ascolto che ti penetra vivamente come in un rapporto sessuale tra anima e corpo, inseguendo il piacere e la lussuria di un qualcosa che i Pane atmosferizzano in echi e rievocazioni di fascino obliquo.

L’uomo al centro di un disperato amore infinito e una figurazione melodrammatica sono i fondamentali di un opera dalla forte identità, un disco “di clima” che esalta la dolcezza stranita “L’umore”, il flauto traverso che scalda l’inquietudine “Gocce”, il sogno claudicante del dubbio “Tutto l’amore del mondo”, l’ispirazione di tasti di pianoforte a condizionare l’ossessione dell’intimità “Orsa maggiore” o la metafisica jazzly che inscena una piece letterata “Cavallo”; l’ascolto diventa punto nodale per andare alla viscere di questo stupendo pezzo d’arte conficcato dentro un cd, l’intelligenza di calarsi nel magma di queste tracce è la scommessa che i Pane mettono in piazza per ascoltatori esigenti e volatili che non si fermano in superficie, che fanno del carotaggio culturale l’intransigenza per arrivare alla bellezza coagulata, e in quanto a bellezza da ascoltare qui c’è n’è da rimanerci secchi.
Pane, la via parallela all’estasi come via di fuga da una stupida vita annacquata.

Max Sannella

[http://www.lindiependente.it/2011/10/22/pane-orsa-maggiore]

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DAGHEISHA

Lassù nel cielo una costellazione di stelle luminose. Qui sulla terra sforzi cantautoriali che faticano ad emergere nonostante un certo approccio folk sia stato abbracciato anche dalla scena indie. Il gruppo guidato da Claudio Orlandi, cantante dotato come ce ne sono pochi in circolazione, spiazza l'ascoltatore con visioni edulcorate che si muovono tra jazz, prog e poesia. 'L'Umore' richiama i Marlene Kuntz più teatrali mentre la title track emerge come il pezzo più prossimo agli orizzonti musicali di 'Tutta La Dolcezza Dei Vermi'. Il salto in avanti qualitativo è sicuramente tangibile soprattutto in termini di coraggio e personalità; non vi è più il timore di mostrarsi e condividere le proprie idee, anzi il cantato è descrivibile come un agguato dinanzi al quale è impossibile opporre reazione. Vladimir Majakovskij, Gesualdo Bufalino e Victor Cavallo ispirano tre brani chiave per comprendere una struttura architettonica piuttosto rigida eppure incline alla sperimentazione e al gioco. 'La Pazzia' e 'Alla Luna' sono due passaggi che potrebbero spingere la band a rivolgersi all'estero qualora la risposta in patria non fosse efficace. I riferimenti iconografici del libretto ne sono la riprova.

cura di Federica Rocchi @ 07/11/2011

[ http://www.dagheisha.com/prod/music/reviewCd.jsp?idCd=5994 ]

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METROMORFOSI

Una notte di (questa) mezza estate mi sono trovato a fare quattro chiacchiere con Claudio Orlandi, mente e voce dei Pane. “Quale gruppo vedi emergere nella scena attuale?” mi chiede. “Voi”, rispondo, come se avessi una sola parola possibile. Ed è così, perché dopo il sorprendente esordio del disco omonimo (2003), la conferma irradiante di Tutta la dolcezza ai vermi (Lilium/Venus, 2008), ad incastonarsi perfettamente nel mosaico artistico del gruppo ecco il terzo atteso passo Orsa Maggiore (Controfase – Dischi dell’Orsa, 2011).

Il cammino, iniziato negli ormai lontani primi anni ’90, continua sicuro tra note e parole, illuminato da una coscienza civile di cui si ha necessità come… il pane. Quella della band romana è una proposta artistica che trancia nettamente qualsiasi legame con un certo cantautorato modaiolo e dalla penna facile, che recentemente bussa alle nostre orecchie in modo subdolo. Pane non fa ricerca di tombini, il legame artistico è diretto alle nuvole, ai grandi cantautori del passato (Leo Ferrè), a quelli di un presente quasi invisibile (Flavio Giurato), alla poesia contemporanea, agli Autori, Autori e basta. A monte, c’è un gran lavoro di ricerca sulla parola, prima di dar fiato alla voce. Cavallo e Samaria sono ispirate, rispettivamente, a testi di Victor Cavallo – adattamento – e Gesualdo Bufalino; Orsa Maggiore si inerpica sulle parole di Majakovskij per una tensione verso l’assoluto.

Com’è possibile dare vita ad una forma-canzone semplice e complessa al pari di una perla inabissata nella più profonda delle fosse marine? La chitarra di Vito Andrea Arcomano, il flauto di Claudio Madaudo, il drumming di Ivan Macera e il pianoforte di Maurizio Polsinelli sono la foresta musicale dove si libra la voce di Claudio Orlandi, che come l’umore del pezzo di apertura, cambia più volte, per abbandonarsi “alla luce, al chiarore… alla calma, al calore”. Le radici dei Pane sono tante: epica rock, ricerca pianistica del primo Novecento, teatro-canzone, jazz, il tutto illuminato da una soffusa luce progressive. Sul palco a Claudio Orlandi si allargano le spalle e gli spuntano le ali (cfr. Flavio Giurato, Orbetello ali e nomi), ma la sua presenza scenica si sente anche al di là del concerto, chiudendo gli occhi e ascoltando il disco. Di rara forza evocativa la copertina, tratta da una tavola di Johannes Hevelius del 1690. Dal vivo al Beba do Samba, per un momento metromorfico tutto da ascoltare. “Che tu sia sulle rive dei fiumi, a sognare sulla terra dei puri” (cfr. Pane, Tutto l’amore del mondo).

Emanuele Kraushaar
[http://www.metromorfosi.com/2011/10/06/senza-categoria/pane.html]

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EXTRA MUSIC magazine

Dopo i due autentici gioielli sfornati nei primi cinque anni di attività, le aspettative generali degli addetti ai lavori intorno al quintetto capitolino dei Pane non potevano che essere alte. L’eponimo disco d’esordio, dato alle stampe nel 2003, e il successivo “Tutta La Dolcezza ai Vermi” – pubblicato circa tre anni fa – avevano ben palesato le impressionanti doti musicali, ma soprattutto compositive, della band. Il loro modo affascinante d’intendere la canzone d’autore, impreziosita da diversi connotati classici e folkloristici, ha immediatamente attirato l’attenzione e l’interesse di quell’ampia fetta di ascoltatori esigenti che non si sono certo fatti scappare le suddette produzioni.

Così, forti di una maggior fiducia e stima in se stessi, Claudio Orlandi e soci non hanno impiegato poi così troppo tempo per dare a “Tutta La Dolcezza ai Vermi” un seguito che fosse all’altezza. Un compito non certo facile, almeno in partenza. Eppure bastano pochi minuti d’ascolto per intuire come, grazie ad piena maturità artistica acquisita nel tempo, l’esame sia stato superato con scioltezza e a pieni voti. In questo nuovo disco confluiscono ancora una volta quella raffinatezza e quella classe che hanno fin dall’inizio contraddistinto la ricerca sonora del gruppo. “Orsa Maggiore”, ultimato nel maggio scorso dopo un anno e mezzo di duro lavoro in studio, racchiude circa cinquanta minuti di grande musica segmentati in nove emozionanti canzoni inedite.

Il tutto è attraversato da atmosfere delicate, a tratti rarefatte, pervase – per quanto riguarda le liriche – da apprezzabili riferimenti letterari che fanno capo a grandi scrittori italiani ed europei. Se il testo della title track risulta essere un meraviglioso riadattamento de “La Nostra Marcia” di Vladimir Majakovskij, non da meno è certamente la rilettura del “Lamento Del Viaggiatore” di Gesualdo Bufalino che va ad impreziosire i versi di “Samaria”. Ma ancor più degni di nota sono i richiami testuali fatti confluire in “Cavallo” che, senza ombra di dubbio, può tranquillamente ritenersi il pezzo più ambizioso dell’LP grazie ad una struttura lontana anni luce da qualsiasi schema testuale – e soprattutto musicale – predefinito. Ad ispirare tale episodio, interpretato magistralmente in una chiave quasi teatrale, è infatti “Item”, direttamente tratto dall’opera di Victor Cavallo “Ecchime”.

E’ il sottile equilibrio tra note e parole ad accentuare la profondità delle restanti canzoni. Accanto a composizioni abbastanza complesse come “Cavallo” trovano spazio brani testualmente più ermetici ma ricolmi di pregevoli code strumentali come accade sia in “Fiore Di Pesco” che nella conclusiva “Alla Luna”. Impossibile non contemplare la bellezza di due brani come “L’Umore”, vagamente “gucciniana”, e “Tutto L’Amore Del Mondo”.
Un disco d’altri tempi, arrangiato con una strumentazione acustica ed essenziale ma non per questo troppo minimalista e, quindi, privo di colori. “Orsa Maggiore” si candida tranquillamente ad essere una delle migliori prove in studio di tutto il 2011 musicale italiano che si appresta a volgere al termine. Indispensabile per chi possiede palati finissimi ed è alla ricerca continua di qualità, bellezza ed eleganza. Da avere. Subito.

Alessandro Basile

[http://www.xtm.it/DettaglioEmergenti.aspx?ID=12286]

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THE WEBZINE

Difficile definire rock un disco acustico, ma con Orsa Maggiore del progetto Pane tutto è possibile. E’ stato fattibile, per loro, concepire un’opera vibrante di una virulenza nineties, pur senza utilizzare distorsioni killer o costruire impianti punk o grunge nei brani. E’ stato concepibile, per loro, sfoderare un’opera emotiva di grande impatto, senza grilli per la testa, semplice ma contemporaneamente penetrante, dai lembi soffici perché si può impugnare e tirare a sé per comprenderla meglio, tramite l’accostamento ad un mondo veramente “diverso”, fatto di folk, prog e jazz. Miscela che negli Stati Uniti chiamerebbero “roots music”.
Ci sono sia testi scritti nella band che riadattamenti dall’esterno (non manca neppure Majakovskij, tornato di moda grazie al Teatro degli Orrori e ora sballottato un po’ dovunque nella musica sedicente colta), stesi con seducente inquietudine su di una tavolozza magnetica, colorata e attraente, che produce interesse man mano che la si ascolta. Scorrono rapidi i brani più impulsivi e d’impatto (“Gocce”, la pinkfloydiana “La Pazzia”, “Fiore di Pesco”), mentre una certa dose di psichedelia progressiva statuaria si inerpica su sentieri sydbarrettiani, con qualche rarefatta traccia di swing jazzato e blues, come in “Tutto L’Amore del Mondo” e “Orsa Maggiore”, momenti topici di coscienzioso romanticismo. Nessuna traccia debole, ma nove momenti di singolare utilità all’interno di un disco, dove è risaputo che nel duemilaundici un’uscita discografica difficilmente manca di qualche filler infilato per problemi di tempistiche. Tasselli che combaciano perfettamente l’uno con l’altro, incastri unici di un’opera che si spera i posteri possano riscoprire e apprezzare.
In valore assoluto il progetto è tra i più interessanti degli ultimi tempi e il disco uno dei migliori di quest’anno. Leggermente cerebrale, forse troppo tiepido, in certi momenti, ma a tempesta passata ritorna visibile un vero e proprio piano di battaglia per dipingere il manifesto del nuovo folk prog italiano. E si chiama Orsa Maggiore.

[http://thewebzine.wordpress.com/2011/11/11/pane-orsa-maggiore-2011]

brizz89

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Jazz Agenda

Il 16 luglio scorso, nell’ambito del festival “Estemporanea” pressola Casa delle Donne, il gruppo Pane ha presentato il nuovo cd “Orsa Maggiore”. Si tratta del secondo album, dopo “Tutta la dolcezza ai vermi” del 2009 (o il terzo se si considera il primo disco autoprodotto nel 2003). Leader e vera anima del gruppo è Claudio Orlandi, cantante e autore dei testi, ma l’apporto degli altri musicisti (pianoforte, chitarra, flauto traverso, batteria) è fondamentale per la riuscita di un progetto musicale così particolare, che giunge con questo nuovo album alla piena maturazione. Quello di Pane è uno stile originalissimo e non inquadrabile rigidamente in alcun genere musicale: cantautorato a metà tra il poetico e l’impegnato, folk colto, progressive, jazz, echi cameristici.

La vocalità di Claudio confina con la recitazione, la narrazione: la sua presenza scenica è imponente, magnetica, a tratti tragica ed assistere ad un concerto di questo gruppo è un’esperienza che non si dimentica. La musica di Pane, fatta di sonorità acustiche, è avvolgente, maestosa, suggestiva, evocativa, ma ad accrescerne la forza sono i testi, sempre di estremo spessore, colti, poetici. In effetti tutte le canzoni (tra le quali “Cavallo”,“Samaria” e “Orsa maggiore” sono ispirate rispettivamente a testi di Victor Cavallo, Gesualdo Bufalino e Vladimir Majakovskij) hanno il sapore al tempo stesso essenziale ed articolato, tragico e luminoso di una verità arricchita da sfumature oniriche: sono testi percorsi da inquietudini, dubbi, sentimenti forti, ora cupi, ora romantici, veri e propri componimenti letterari privi di banalità e retorica.

L’ascolto dell’album “Orsa Maggiore” non lascia indifferenti, s’incide nell’animo, penetra a fondo nell’universo interiore e sollecita l’inconscio, è un ascolto che chiede di essere ripetuto, più e più volte: l’orecchio e l’animo vengono catturati dal crescendo strumentale e vocale che caratterizza quasi tutti i brani, dalla potente suggestione della musica e delle parole e ne sono scossi ed appagati al tempo stesso. Una segnalazione merita anche la cura con cui è realizzato il libretto, arricchito da pochi ma efficaci riferimenti iconografici colti (Bosch, Hevelius). “Solchi inauditi e fecondi” (verso dell’ultimo brano presente nel disco, “Alla luna”) sono quelli che lascia dentro l’ascoltatore questo album, piccola ma luminosa perla nell’odierno panorama musicale italiano.

Marianna Giordano