Progettopane Home Discografia RassegnaStampa Visioni Contatti
 Facebook     Youtube     Myspace   
 
 
 
 
Contenuti
 
INTERVISTE ------------------------------
Jam / Il Sottosuono / Raw & Wild /
Athos / Kult underground  ----------
   
  SuperBuilding Sounds vol.1
  Teatro Buffo
  Pane per Pio La Torre
  Paese sera
  Controluce
  Oltre Margine
  MiniRadioWeb
  Stazione K
  Beautifulfreaks
  Nerds Attack
  Stefano Solventi
  Mescalina
  Pane @ Ex Lavanderia
  MArte Live
  Pane per Victor Cavallo
  Mescalina
  Gazettino di Montesacro
  Radio Città Aperta
  Cerchio Azzurro
  Movimenta
   
   
   
   
   
   
   
   

 

INTERVISTE

       
       
  JAM (n° di Gennaio 2012)    
   
  clicca sull'anteprima per ingrandire    
       
       
 ----- [http://www.ilsottosuono.net/la-rivista/96.html]
     
     
  Raw & Wild ----- [http://www.rawandwild.com/interviews/2012/int_pane.php]  
     
  Athos----- [http://athosenrile.blogspot.com/2011/11/pane-orsa-maggiore.html]  
     
  Kult Underground ----- [http://www.kultunderground.org/art/17397]  

 


top

Pane per SuperBuilding Sounds volume1

https://nmlrecords.wordpress.com

 


top

TEATRO BUFFO
Spettacolo "La festa" - regia Davide Marzattinocci
Vincitore del premio speciale della giuria della

V Rassegna Nazionale del Festival Teatro e disabilità di Rovigo.

All’interno dello spettacolo brani dei Pane.

http://www.youtube.com/watch?v=UFBXf6jz7WE

 


top

Pane per Pio La Torre


Si possono ascoltare alcuni brani del nuovo disco Pane “Orsa Maggiore” dal sito del centro studi Pio La Torre nella sezione Musica antimafia:

[http://www.piolatorre.it/musica]


Nel libretto interno al disco si legge questo particolare ringraziamento:

si ringrazia “Il centro studi Pio La Torre per il prezioso lavoro di memoria storica e lotta attuale contro la mafia nel nome di un grande comunista del Novecento, esempio di integrità morale e passione civile e politica”

*

Ma chi è Pio La Torre e cosa ha fatto ?

Pio La Torre ha dedicato la sua vita per la difesa del popolo contadino siciliano e alla lotta antimafia. Motivo per cui è stato barbaramente ucciso nel 1982.

Nacque nella frazione di Baida del comune di Palermo in una famiglia di contadini molto povera. Sin da giovane si impegnò nello studio e appena possibile nella lotta a favore dei braccianti (motivo per cui è stato incarcerato), prima nella Confederterra, poi nella Cgil (come segretario regionale della Sicilia) e, infine, aderendo al Partito comunista italiano.

Nel 1960 entrò nel Comitato centrale del PCI e, nel 1962 fu eletto segretario regionale. Nel 1969 si trasferì a Roma per dirigere prima la direzione della Commissione agraria e poi di quella meridionale. Messosi in luce per le sue doti politiche, Enrico Berlinguer lo fece entrare nella Segreteria nazionale di Botteghe Oscure. Nel 1972 venne eletto deputato, e subito in Parlamento si occupa di agricoltura non tralasciando mai lo studio dei caratteri del fenomeno mafioso.

Propose una legge che introduceva il reato di associazione mafiosa (Legge Rognoni-La Torre) ed una norma che prevedeva la confisca dei beni ai mafiosi.

Nel 1981 decise di tornare in Sicilia per assumere la carica di segretario regionale del partito. Svolse la sua maggiore battaglia contro la costruzione della base missilistica NATO a Comiso che, secondo La Torre, rappresentava una minaccia per la pace nel Mar Mediterraneo e per la stessa Sicilia; per questo raccolse un milione di firme in calce ad una petizione al Governo. Ma le sue iniziative erano rivolte anche alla lotta contro la speculazione edilizia nella quale i clan mafiosi godevano di vasti privilegi.

Alle 9:20 del 30 aprile 1982, con una Fiat 132 guidata da Rosario Di Salvo, Pio La Torre stava raggiungendo la sede del partito. Quando la macchina si trovò in una strada stretta una moto di grossa cilindrata obbligò Di Salvo, che guidava, ad uno stop, immediatamente seguito da raffiche di proiettili.

Da un'auto scesero altri killer a completare il duplice omicidio. Pio La Torre morì all'istante mentre Di Salvo ebbe il tempo per estrarre una pistola e sparare alcuni colpi, prima di soccombere.

Al funerale presero parte centomila persone tra cui Enrico Berlinguer, il quale fece un discorso.

Dopo nove anni di indagini, nel 1991, i giudici del tribunale di Palermo chiusero l'istruttoria rinviando a giudizio nove boss mafiosi aderenti alla Cupola mafiosa di Cosa Nostra. Per quanto riguarda il movente si fecero varie ipotesi, ma nessuna di queste ottenne riscontri effettivi. Nel 1992, un mafioso pentito, Leonardo Messina, rivelò che Pio La Torre fu ucciso su ordine di Totò Riina, capo dei corleonesi, a causa della sua proposta di legge riguardante i patrimoni dei mafiosi.

Solo dopo la sua morte, grazie all'associazione Libera, che raccolse un milione di firme, si presentò la proposta di legge, che si concretizzò poi nella legge 109/96 Rognoni-La Torre.

Il 30 aprile 2007 venne intitolato a Pio La Torre, dalla giunta di centrosinistra, il nuovo aeroporto di Comiso. Nell'agosto del 2008, la nuova giunta di centrodestra decide di togliere l'intitolazione a La Torre per tornare a quella precedente di "Generale Magliocco", un generale del periodo fascista distintosi nella guerra colonialista d'Etiopia..

Il 10 maggio 2008, a Torino, è stato presentato il libro Pio La Torre - Una Storia Italiana di Giuseppe Bascietto e Claudio Camarca, con la prefazione del Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano. Si tratta della prima biografia del politico autorizzata dalla famiglia La Torre.

Con questa nota
   Vi salutiamo augurandovi una serena estate


Baci di pane

   Claudio


top

L'eternit minaccia Roma e provincia, la proprosta di Legambiente

Presentato da Legambiente il progetto "eternit free" che da il via ad una proposta di legge per colmare le lacune della legislazione vigente. I dati della Provincia di Viterbo, ad esempio, sono allarmati: esistono oltre 150mila tonnellate di coperture in eternit, pari ad oltre 11 milioni di metri quadri di superficie.

Un incontro organizzato da Fabio Orecchini (autore del libro "Dismissione" dedicato alla questione amianto) e Claudio Orlandi (del gruppo musicale Pane) nella cornice della Cervelletta, per parlare di amianto e di come il problema sia ancora frequente nella nostra regione e nella nostra città. Diverse associazioni che operano da anni su tutto il territorio, insieme a Legambiente Lazio, hanno presentato il progetto “eternit free”, operativo nel territorio della provincia di Roma.

Il problema amianto, è rappresentato da una debole legislazione, intervenuta solo nel 1992, ma che in ogni caso non ne determina il profilo di illegalità. Per questo motivo, come denunciato dalle associazioni presenti, esso è ancora presente in moltissime strutture, senza l’obbligo di rimozione.

Non esiste un giusta mappatura della situazione, non si è mai svolto un censimento adeguato in merito e ad oggi si fa riferimento ancora ad un vecchio resoconto del Cnr, considerato obsoleto.

“Stiamo lavorando ad una proposta di legge che sia esaustiva e che riesca finalmente a coprire le lacune della legislazione vigente – spiega Anna Maria Virgili, presidente dell’associazione nazionale esposti amianto, sezione Lazio – bisogna avere un atteggiamento più radicale verso questo materiale che in tutto il mondo è stato dichiarato nocivo già a partire dagli anni sessanta. Occorre una mappatura del territorio, un registro completo degli edifici in cui sia ancora presente l’amianto, un registro aggiornato degli esposti, un protocollo di rischio che sia uniforme in tutto il territorio.

Questo perché questo argomento è di competenza regionale, e se alcune regioni si sono spese discretamente in questa causa, molte altre, tra cui la Regione Lazio, non ha fatto quasi nulla”. Ad oggi esiste un censimento gestito dalla Provincia di Viterbo, ma che copre solo il 4,75 dell’intero territorio regionale, ma che porta un dato davvero allarmante: oltre 150mila tonnellate di coperture in cemento amianto – eternit – pari ad oltre 11 milioni di metri quadri.

Presente in sala anche la dottoressa Dagosta, del servizio Spresal della asl B di Roma, che si occupa di vigilanza negli ambienti di lavoro. Racconta di come in aree geografiche grandi come quella di sua competenza, “il numero degli operatori è inferiore rispetto alla mole di lavoro. Proprio per questo è difficile seguire tutti i casi che ci sottopongono, ma malgrado le difficoltà, cerchiamo di essere presenti in tutte le situazione e verificare che le bonifiche siano effettuate entro i 30 giorni dalla presentazione del piano di lavoro, come stabilito dalla legge”.

30 giorni per intervenire in caso di amianto. Sembra una vera utopia. L’associazione Codici – centro per i diritti del cittadino – da sempre combatte per i risarcimenti da amianto per i cittadini. Denuncia una situazione emblematica della legislazione per i parametri entro i quali una persona può richiede il riconoscimento di invalido per amianto, oppure una richiesta danni. Il numero di interessati è talmente grande “che con probabilità avrebbe fatto crollare il sistema di assistenza, da qui, parametri ridicoli per stabilire che realmente ha subito danni per l’esposizione ad amianto. Basta una solo esposizione per rimanere affetto da alcune patologie”.

Legambiente ha presentato la campagna “eternit free” che vuole provare ad affrontare due temi importanti insieme: “attraverso questa iniziativa – racconta Maddalena Gesualdi, responsabile del progetto per Legambiente Lazio - vogliamo offrire la possibilità di effettuare una bonifica da eternit, applicando alla superficie in questione una copertura con istallazione a pannelli fotovoltaici. Il tutto si effettuerebbe attraverso incentivi statali creati ad hoc e si farebbero passi da gigante per la preservazione dell’ambiente e della salute”. L’ambizioso progetto, al momento è stato approvato solo dalla Provincia di Roma, ma l’obbiettivo di Legambiente è di diffonderlo il più possibile. Quello che è certo, è che c’è ancora molto da fare a riguardo. Le istituzioni non affrontano la questione come si dovrebbe, con la conseguenza che i cittadini si organizzano da se. Lo “sportello amianto”, gestito dall’avvocato Barbara Costa, con sede al Beba do Samba di San lorenzo, è una delle conseguenze di questa lacuna istituzionale. Sempre più cittadini si rivolgono ad esso anche solo per avere delle informazioni.

di Veronica Altimari
13 luglio 2011

[http://www.paesesera.it/Cronaca/L-eternit-minaccia-Roma-e-provincia-la-proprosta-di-Legambiente]

top

CONTROLUCE - Letteratura e folk si fondono nelle note dei "Pane"


di Vittorio Renzelli (Martedì 26 Aprile 2011)

La notte della domenica di Pasqua ci regala un'altra grande performance musicale, quando, negli ameni locali del Beba Do Samba a S.Lorenzo in città, si esibisce un'altra band capitolina, i "Pane".
Voliamo ad altre latitudini rispetto al classico indie rock tanto in auge negli ultimi tempi, per intraprendere con la band un viaggio a ritroso che, dall'idea di un alto cantautorato italiano con tutte le sue ricercate sfumature sonore , s'invola verso l'esplorazione di territori immaginari nel romantico tentativo di coniugare poesia, letteratura, impegno civile alle note ed alle liriche.

Il pane è simbolo di essenzialità, tradizione, umanità, niente di più vicino al sound della band, romana, cinque elementi, Ivan Macera alla batteria, Claudio Madaudo al flauto traverso, Vito Arcomano alla chitarra, Maurizio Polsinelli al piano ed il frontman Claudio Orlandi, amici da una vita, con una pregressa formazione in conservatorio, suonano insieme dai primi anni '90, ma è solo nel 2003 che si concretizza il loro primo album omonimo, cui segue nel 2008 il disco che li lancia nel panorama cantautoriale del belpaese, "Tutta la dolcezza ai vermi", prodotto dall'etichetta milanese Lilium.

Tanto è cambiato dalle prime sporadiche apparizioni sui palchi dei licei, dove la band si dedicava alle cover dei Doors, pian piano, sulla lunga strada della musica, il progetto si consolida e si affina, nella costante ricerca di un'inaspettata originalità che fa della musica dei Pane un unicum introspettivo.

La voce da tenore del frontman fa onore alle atmosfere create dalla band, che si muove sui riff di un ricercato folk percosso da tinte vagamente prog rock, tra studiatissimi tempi di batteria e delicati tocchi di piano che ci ricordano la dolcezza di Debussy, mentre un flauto riempie l'aria di note che sia abbracciano e si intersecano nei virtuosi riff di un'acustica classicheggiante.

E questa voce quasi lirica, ci racconta di disagi esistenziali, di personaggi ai limiti della società, delle ingiustizie del mondo di oggi, di nostalgici ideali, di desideri di rivalsa, impulsi emotivi, stranezze del sentire, inquietidutini interiorizzate.

E lo fa con una vena di alta ironia che solleva le poetiche dal cinismo imperante nella volgarità degli eventi quotidiani, restituendoci la poesia delle cose nella sua purezza istintiva, calda, romantica.
Una spietata analisi dei tempi riscattata dall'alta considerazione dell'uomo in sé, considerato riguardo alle sue sfere ideali e inalienabili, valori assoluti dell'animo, questo il percorso poetico di Claudio Orlandi, autore dei testi della song, tra le assonanze e le dissonanze del sincretismo che lo vede impegnato nello studio della musicalizzazione di letteratura e poesia.

Il risultato è un concerto umido, intenso, sudato, sofferto, umano, che si spiega nella domenica pasquale fino alle ore piccole, dove, tra un primo ed un secondo tempo con intermezzo dedicato ad un piccolo reading della poesia di Luigi Di Ruscio, i Pane percorrono in parte il loro passato repertorio e ci dedicano tante anteprime di quelle che saranno le song del loro prossimo album, "Orsa Maggiore", titolo tributo ad un'opera di Mayakowsky, previsto in uscita per maggio.

Serata in cui ha trovato spazio anche la colorata, intricata, emotiva pittura di Valentina Carta, giovane artista di Marino nei castelli romani, trasferitasi nella Capitale, dove svolge la sua attività, che ha regalato per una sera al Beba l'anteprima della sua personale "Sperdimento Primo".

Qualche info in più sui Pane, nel web, all'indirizzo [www.progettopane.org] - info su Valentina Carta [www.valentinacarta.com]

Vittorio Renzelli

[ http://www.controluce.it/roma-cronache/letteratura-e-folk-si-fondono-nelle-note-dei-pane ]


top

Oltre Margine - Poesia da vedere e ascoltare

 

Poesia in tracce

I Cd Audio di Umberto Fiori, Ida Travi e il gruppo musicale Pane

di Luigi Cannillo
 

La fruizione di poesia, che nella tradizione più recente si è incentrata prevalentemente sulla pagina scritta, è però legata in modo indissolubile alla oralità e all'ascolto, nella memoria dei canti imparati a memoria che tramandano le gesta degli eroi, affidata a cantori poetanti che hanno eseguito e interpretato saghe e leggende. L'uso della vocalità, a volte accompagnata da semplici strumenti musicali, è stato per molto tempo il modo unico e indispensabile per raccogliere attorno a sé un pubblico che ascoltasse poesia , in attesa della prime forme di scrittura e dell'invenzione della stampa.

La storia stessa della musica è stata legata all'uso della parola, alla sua dizione/recitazione in rapporto alle note musicali, dal canto gregoriano al melodramma, dal Lied allo Sprachgesang insieme all operetta, al musical e alla canzone, nei quali testo e musica sono percepibili come unità organica.

La storia della poesia ha sviluppato, in particolare nel '900, un percorso in cui una particolare accentuazione di ritmo, tempo e vocalizzazione hanno dato particolare espressività ai tradizionali riferimenti metrici. Dal futurismo alle ricerche della poesia sonora della seconda metà del '900 fino al fenomeno del rap, i versi vivono del proprio carattere orale, attraverso reading, poetry slams ma anche in concerti o in specifiche performance, favoriti dall'affermarsi progressivo delle nuove tecnologie che hanno messo a disposizione mezzi di riproduzione sempre più raffinati e pratici e fruibili: dal nastro al CD audio al MP3.

Ma in che rapporto stanno testo e forma musicale? Quale dei due nasce per primo? E come si rapporta l'autore performer al suo testo? Le collaborazione tra musicisti e compositori porta ad eventi che oltrepassano i confini del singolo linguaggio, mettono l'appassionato di poesia davanti a nuove forme di ascolto per nuove modalità di lettura. Lo testimoniano, tra le tante, alcune incisioni su CD audio di poeti e gruppi musicali. Come nel caso di Umberto Fiori, Ida Travi e il gruppo musicale Pane.

Umberto Fiori vive da decenni il suo rapporto con la musica, dall'attività di cantante e autore nel gruppo degli Stormy Six, che risale agli anni '70, mentre in anni più recenti è stata significativa è la collaborazione con il compositore Luca Francesconi. Poi il ritorno alla forma canzone, per cui ha musicato testi di Franco Loi, eseguendoli a partire dagli ultimi anni '90 nei numerosi concerti di Vòltess in Italia e all'estero. E, infine, l'incisione di propri testi con la collaborazione musicale di Luciano Margorani nel CD “Sotto gli occhi di tutti”, Nota Music, 2009.

La scelta poetica è partita dai testi musicali, composti nella maggior parte dei casi da Margorani stesso, che accompagna Fiori alla chitarra, ma anche degli ex Stormy Six Franco Fabbri, Tommaso Leddi, Pino Martini e in un caso dallo stesso Fiori. I sedici testi sono tratti da diverse raccolte poetiche, ma non si tratta esattamente delle stesse poesie pubblicate, bensì di trascrizioni per musica, effettuate dall'autore stesso. Il libro Cd contiene note introduttive e di commento degli autori, oltre ai testi delle canzoni, accompagnati anche da una traduzione in inglese di Carla R. Sanguineti, e alle fotografie tratte da concerti o immagini fortemente evocative rispetto ai luoghi tipici della poetica di Fiori: «Dopo la curva del viale,/ sopra i semafori e gli alberi,/ una fila di case/ ferme/ contro il primo sole:// Vederle là/ viene come un vuoto,/ come una pena, ma poi/ viene la stessa luce,/ la stessa faccia da eroi.» Non si tratta quindi di un semplice CD audio, ma di un offerta di diversi materiali sonori e cartacei nella quale si intrecciato diversi linguaggi. In una sua nota Fiori osserva che «a fare davvero testo – oltre alla musica – sono le parole cantate.

La loro disponibilità sulla pagina rischia di sviare l'ascolto, di ridurlo a ispezione del materiale poetico messo in musica, e di ridurre la musica a “melizzazione del testo.» E' preferibile allora accostarsi direttamente alla canzone lasciando alla performance tutta la sua intensità specifica. Le canzoni, o “pseudocanzoni” come le ha anche definite Margorani, sono qui anche forme di racconto, riprendono l'antica tradizione orale del cantore: dalla ballata al valzer, alla ribattuta sonora di pulsazioni interiori o suoni urbani, il materiale sonoro anche nella trascrizione semplificata per chitarra elettrica mantiene una varietà che avvicina l'ascoltatore sia alle radici della poesia che alle nuove sonorità. Fondamentale è la voce dell'autore, in una modalità nella quale è riconoscibile una caratteristica, più che genericamente cantautorale, semplicemente autorale: Voce cantante e Autore del testo coincidono in Voce Poetica vera a propria.

Mentre per Umberto Fiori le poesie sono state accostate alla scrittura musicale in un secondo momento come scritture sorelle, i testi di Ida Travi sono nati già originariamente come “Poesie per la Musica”, e questo è infatti anche il sottotilolo del libro Cd La corsa dei Fuochi, Moretti & Vitali, 2007. Le cinque sezioni che compongono il volume, già eseguite in numerosi reading e performance dall'autrice, erano preesistenti alla musica di Andrea Mannucci con cui sono state incise. Se mai le forme testuali sono andate abbreviandosi, per consentirne la musicalizzazione.

Sono atmosfere rarefatte, fatte di apparizioni improvvise, lampi illuminanti e oscurità notturne, in un clima onirico, un tempo sospeso, tutti elementi che vanno a formare una poesia recentemente definita “permafrost”, come un suolo perennemente ghiacciato, siderale, dove gli oggetti assumono valore simbolico e assoluto, pur rimanendo sulla scena nella propria matericità: «L'erba è silenziosa, non fidatevi, finché non apre bocca,/ non fidatevi. Il verde è caduto dal petto in lacrime// Faremo penitenza se il sangue lo consente/ dice la madre accorrendo: date il tamburo a chi non ha le mani// Dice la madre accorrendo, le mani tra i capelli, bum!// La stanza era uno scudo// C'era uno sgabello solamente,/ uno sgabello su cui tutti gettavano il paltò.»

Il respiro, il suono sono centrali nella stesura dei testi di Ida Travi, nati già tenendo conto di una musica. Nel libro CD il tessuto sonoro e melodico offerto dalle tastiere elettroniche non è un semplice tappeto musicale, è una partitura per la voce cantante di Patrizia Simone, che si alterna nei testi alla voce recitante dell'autrice. Le due voci, quella recitante e quella cantante, si inseguono nei testi, come strumenti affini ma diversi, più sommessa e rarefatta la prima, più vibrante e tesa la seconda. I testi, la musica evocano un'azione teatrale completa, che viene ricordata anche nella nota introduttiva, e d'altra parte nella esperienza dell'autrice è già presente la rappresentazione di un'opera musicale nel 2003 con successive pubbliche esecuzioni. Il libro Cd arriva quindi a completare un percorso; altri sono in preparazione, e anche il più recente Neo/Alcesti, pubblicato dallo stesso editore nel 2009, contiene poesie per la Musica, anche se non ancora incise su CD.

Con La corsa dei fuochi Ida Travi prosegue e realizza il lavoro teorico che aveva iniziato con L'aspetto orale della poesia (Anterem Edizioni, 2000), una raccolta di saggi critici e riflessioni sul rapporto tra oralità e poesia, sia in riferimento al rapporto tra neonato e lingua madre che per quello tra parola poetica e silenzio, e infine, tra poesia e sonorità: «Il parlare poetico si pone in quel margine di creazione che già non è più solo pensiero ma ancora non è scrittura. Può essere un parlare con voce, così come fa il poeta che bisbiglia tra sé.. O può essere il sonoro rivolgersi ad altri. Oppure è il parlare interiore, muto.». Questo “rivolgersi agli altri” compie il suo circuito attraverso la tecnica di registrazione del “parlare poetico” dell'autrice.

Un'esperienza ancora diversa nel campo della musicalizzazione di testi poetici viene offerta dal gruppo musicale Pane, del quale è stato diffuso il CD Tutta la dolcezza ai vermi, La Mantide Ed. anche in occasione delle iniziative in memoria di Antonio Porta, che si sono tenute nella ricorrenza dei vent'anni dalla morte.

Il Cd riporta infatti a conclusione del percorso, proprio nell'ultima traccia una musicalizzazione del poemetto “La distanza amorosa”. E' una operazione non inconsueta per questo gruppo, avvenuta già con testi di Silvia Plath, Victor Cavallo e Gesualdo Bufalino, e in questo disco, oltre con i testi dello stesso Claudio Orlandi, voce e interprete del gruppo, anche con una poesia di Mandel'stam.

In questo caso è decisivo l'incontro istintivo con il testo poetico nel quale viene percepito l'aspetto visionario insieme a quello sonoro, quello che viene definito “volume” del testo, in una sorta di tridimensionalità della percezione. Da questo parte il lavoro di musicalizzazione.

Nel caso del poemetto di Porta, tratto dalla raccolta Yellow, uscita postuma nel 2005, dall'incontro iniziale con testo è nata una prima improvvisazione, un giro di chitarra che ritroviamo nell'incisione, anche dopo il processo più articolato di composizione e arrangiamento attraverso una strumentazione più complessa di pianoforte, chitarra, flauto traverso e batteria.

Il testo originale di Porta emerge in tutta la sua sensualità ed energia: «[...]Decido di arrivarti da sotto/ come il tubo dell'acquedotto/ il rubinetto chiuso, silenzioso acceso/ pronto a dissetarti disteso/ già preso:// C'è solo più un gesto lontano/ non muovo neppure la mano/ m'invade, straripa, mi asseta,/ tu dormi su un colle vicino/ io ardo cespugli.// “E 'la fiamma che brucia e non consuma/ che tace e si accende in parola/ sui bordi del corpo un dito discende gelato/ il brivido interno l'esterno/ s'increspa.// Va bene se penso lontano/ se il buco è la morte/ è vano per giorni il respiro/ è la sorte sospesa/ l'attesa.// Se chiami più forte reclami/ il corpo ritorna con forza/ si stacca, mi scioglie la scorza/ in bocca c'è il miele/ rimani.»

E' un testo che è già musica nella scelta della scansione delle strofe, nelle rime e le assonanze, nelle allitterazioni. Qui conserva la sua specificità e allo stesso tempo si presenta nuovo attraverso gli strumenti e la voce. E' l'occasione per ritrovare Antonio Porta anche in questa veste di poeta per musica e di conoscere il progetto Pane anche nei bei testi di Claudio Orlandi e nella ripresa di un'autore fondamentale come Leo Ferré con il suo Tu non dici mai niente.

Il progetto musicale dei Pane è poi ampiamente presentato sul sito www.progettopane.org., il brano sul testo di Porta disponibile anche con un video su YouTube, Fondamentale per il lavoro del gruppo è come il processo di composizione non porti a una forma di poesia sonora, a una stesura di musica in funzione di tappeto sonoro del testo, ma a una vera e propria coraggiosa musicalizzazione della parola.

Queste tre diverse esperienze discografiche riportano l'autore al ruolo di cantore e l'ascolto a un percorso che tramanda una vocalità, un legame tra testi e musica che non lascia più gli uni e gli altri in uno stato separato, ma crea una nuova identità. Registrare, incidere le voci dei poeti mantiene lo spirito originale e ne salva le performance. L'aspetto orale della poesia rivive, e con lui anche preziose collaborazioni tra linguaggi diversi, esecuzioni, partiture custodite nelle dimensioni minime e nella memoria infinita di un un lettore MP3

 

top

Video intervista su MiniRadioWeb (Febbraio 2009)
http://www.youtube.com/watch?v=b0N8NgAwk0U

 

 

top

Intervista per STAZIONE K
Ascolta Podcast disponibile su : stazionek.blog.tiscali.it

 

 

top

BEAUTIFULFREAKS intervista Pane

a cura di Emiliano De Carolis, Marzo 2009

Bentrovati. Claudio Orlandi, voce dei Pane, ci ha rilasciato questa piacevole intervista. Insieme a lui siamo andati a scrutare l’ orizzonte di una band particolare e intima. Un progetto che tende verso linee melodiche e profonde, pronto per qualcosa in più.

I Pane sono una band, cinque musicisti, con un approccio alla musica intimo e poetico. Quando nasce il vostro progetto?
Nei primi anni Novanta io e Maurizio (pianoforte) ci siamo incontrati e abbiamo inaugurato un’amicizia musicale, successivamente con Vito (chitarra) il gruppo ha preso una forma più definita e abbiamo iniziato a delineare i primi tratti distintivi del Pane: l’acustica, la centralità e il potenziale evocativo della parola, la musica come spazio scenico e sonoro ecc.. Con l’entrata nel gruppo prima di Claudio Madaudo (flauto traverso) poi di Ivan (batteria) quei tratti hanno trovato modo di esaltarsi creando a loro volta nuovi possibili sviluppi per la musicalità del gruppo.

“Tutta ..la Dolcezza.. ai Vermi”, il vostro ultimo lavoro, sa di liriche ricercate, per nulla trite e scontate. Da dove prende il via la vostra musica “acustica da camera” ?
Da sempre affascinato dal potere evocativo delle parole, ne subisco il fascino e il ricatto. Le tratto con rispetto, non ne abuso, mi limito a tratteggiare dei labili confini che possono all’occorrenza farsi fossi insormontabili. La musica prende il via da piccole visioni, momenti, stati d’animo, riflessioni di gruppo sul vivere quotidiano...dal mondo che ci circonda.

I Pane sembrano muoversi tra un certo cantautorato e la personale interpretazione dello stesso. Dov’ è il compromesso?
Siamo convinti che molta della nostra musica sia sinceramente influenzata dalla nostra memoria "storica" e "poetica", nonché dalla natura molto eterogenea dei bagagli musicali che ognuno di noi porta con sè. In ogni caso le nostre incursioni nella canzone d'autore e cantautoriale hanno l'audacia e la pretesa di forzarne i "confini", per ridefinirli e allo stesso tempo confermarli.

La vostra musica sa, appunto, di cantautorato italiano e i testi approdano a scritture migranti e a poeti unici della letteratura internazionale. E’ così?
Come detto la parola e le sue possibilità sono una parte importante del nostro lavoro. Se mi capita – e lo spero fortemente – di imbattermi in un testo che mi trafigge cerchiamo la via per dargli volume, farlo lievitare dalla carta e portarlo ad una nuova dimensione. Così è accaduto per Osip Mandelstam, Silvia Plath, Antonio Porta, Beckett, Camus... Non si tratta di musicare la parola scritta, come se si mettesse un tappeto sotto un bel tavolino o una copertina sopra al letto, si tratta di entrare nel sistema cromosomico del testo e da questo far erompere la sua stessa natura sonora, è un processo che non inventiamo noi, è già nel testo, a noi il compito di rivelarlo per quello che è. Troppo presuntuoso?

Cosa intendete esprimere nelle vostre composizioni musicali?
Una sintesi di armonia, bellezza e forza.

Come si pone il Progetto Pane rispetto al pubblico e viceversa?
Con naturalezza.

Cosa ne pensate di tutto il sistema musicale italiano? Dal M.E.I. a Sanremo, dai locali (in cui non è sempre facile suonare), ai musicisti, per finire con le case discografiche?
Caro Emiliano un domandone… Tutto il sistema musicale italiano? Non lo conosco tutto e non mi interessa... Il MEI: è un luogo per incontrare amici e addetti ai lavori, presentare i propri progetti, nell’insieme una buona occasione di scambio promozionale. Sanremo: il modo più veloce per farsi ascoltare da milioni di persone. Siamo sempre nell’ambito della promozione, ed è naturale che sia gestito da chi si occupa di questo. I locali: ricordarsi sempre che i locali hanno una priorità: rimanere aperti. I musicisti: hanno un compito: saper suonare. Le case discografiche: ce ne sono poche, pochissime e sono disprezzate dagli emergenti fin quando non li prendono in considerazione. Le altre, le pseudo case discografiche sono nella migliore delle ipotesi delle agenzie che usano qualche contatto in cambio di denaro.

Sembrate essere un progetto che lascia poco spazio al compromesso e nettamente diretto verso una meta ben definita. Dalla vostra musica trapela una sicurezza nell’espressività. Dove andate?
Dove ci portano le nostre gambe. Fin’ora abbiamo sempre seguito il nostro istinto musicale, cercando di evitare le inutili pozzanghere, le paludi e tutto ciò che sapesse di posticcio o cartonato accettando il rischio di rimanere fuori da certi giri.. speriamo di continuare per questa via.

Qual è la canzone dei Pane che vi rappresenta di più e… quella, di un altro autore, che avreste voluto scrivere voi?
Alcuni brani sono stati molto significativi in certi momenti del passato, penso a Termini Haus presente nel disco “Pane” del 2003. Al momento “Testamento” è un brano che riteniamo davvero ben riuscito. Personalmente considero “Annarella” dei CSI uno dei migliori brani scritti in Italia negli ultimi decenni, un testo straordinario...

Dove ci incontreremo prossimamente?
Spero per strada...gli incontri casuali sono sempre i migliori. In concerto saremo alla Locanda Atlantide di Roma giovedì 19 febbraio, il 4 aprile a LoopCaffè di Perugia e il 18 aprile al Materia Off di Parma.

(Emiliano De Carolis - www.beautifulfreaks.org)

 

 

top

Intervista a PANE (agosto 2008)
a cura di Maria Gloria Fontana

Conversazione semiseria apparsa online su www.nerdsattack.it agosto 2008..
In un torrido pomeriggio estivo a Villa Mercede (quartiere S. Lorenzo per chi non è di Roma, nda), incontriamo Claudio Orlandi, cantante e paroliere del progetto Pane, band romana.

Se dovessi presentare i Pane, come li definiresti? La definizione è la ‘morte’ della musica, ma ci vuole.
Io dico sempre che siamo un “gruppo” nel senso sociologico del termine, inteso come stare assieme e condividere delle intelligenze. I dischi che abbiamo realizzato sono degli ‘ami’, delle ‘luci’ per far sì che persone interessate a quel tipo di mondo possano avvicinarsi e condividerlo. Per quanto mi riguarda, ci sono due anime che convivono in me: la musica come elemento politico e il discorso poetico sulla visione. Tuttavia, non siamo né un gruppo politico e né di esteti, le due anime vanno rimescolate.

Scriverai mai una ‘hit’ radiofonica?
Nella hit non ci possiamo riconoscere, il gruppo perderebbe di senso. Stiamo cercando una dimensione, non certo studiata a tavolino.

Non ti sembra un discorso campato un po’ in aria? Un disco, per quanto di qualità, è pur sempre un ‘oggetto’ da divulgare, da vendere. Come conciliate quanto hai detto con questo aspetto?
L’album è, indipendentemente da te, un ‘oggetto’ da vendere. Non devi far niente perché lo sia, tu devi fare qualcos’altro.

Allora la tua aspirazione è che nessuno ti ascolti?
No, niente affatto. Mi deve ascoltare la maggioranza delle persone, ma con altri orecchi. Certo, come hai sottolineato tu, è una prospettiva ‘aleatoria’, ma si crea per questo.

A cosa o a chi ti piacerebbe che fossero associati i Pane?
Tu fai domande difficili!

Non ho detto né band, né pittori, né altro, è il gioco delle associazioni, fai tu…
Un gran bel bosco pieno di alberi, un parco. Ma questo è campato in aria, dirai tu.

No, non l’ho detto.
Però l’hai pensato.

Sì, ma riflettevo sulla copertina di “Tutta ..la Dolcezza.. ai Vermi”.
Si possono dire tante frasi retoriche. Ad esempio che la società ci lobotomizza, ma una persona mediamente intelligente lo sa. Quindi l’arte, sia essa musica, scrittura o altro, che cosa deve fare? Te lo domando.

No, sono io che faccio le domande. Però posso dirti che, recentemente intervistato, P. Capovilla del Teatro Degli Orrori ha risposto: “emozionare”.
Questa è una delle risposte possibili, ma possono essere anche altre le funzioni svolte dall’arte: avvicinare o risvegliare elementi di fiducia reciproci.

Tu quale possibilità hai scelto?
Avvicinare, risvegliare e stimolare la fiducia tra le persone che hanno punti in comune, perché il mondo ti sgretola. Il termine “fiducia” è stato relegato al gergo della politica e dell’economia, è sbagliato, dovrebbe invece competere l’essere umano.

Quindi la musica dei Pane ha questo ruolo. Non è pretenziosa come aspettativa?
Sì, lo è, ma noi mettiamo sul palco le nostre vite, tutto. Non dobbiamo suonarle, quelle canzoni, dobbiamo esserle.

Questo avviene ogni volta che suonate, ogni sera?
Sì. Infatti non suoniamo tanto

Voi vivete di musica?
Cerchiamo di scartare tutto ciò che potrebbe invadere e limitare il nostro percorso musicale, ma nessuno vive di musica.

A Roma quali gruppi sentite affini?
Sicuramente meritano grandi elogi gli Acustimantico. Poi restando a Roma, i primo lavori degli Elettrojoyce erano eccezionali, sebbene elettrici avevano un’anima molto particolare. Il loro lavoro è finito troppo presto, avevano unito due anime che poi sono scoppiate. Io non li conosco personalmente, parlo a livello intuitivo. Però pensando a quello che è accaduto dopo, le due anime si sono polarizzate e ridefinite. Inoltre, mi piacciono molto i Tetes De Bois.

Per quale motivo venite spesso associati al Banco Del Mutuo Soccorso?
Perché ho la barba e un po’ di pancia. Onestamente non ho mai avuto la fissa del progressive.

Ma tu li ascoltavi?
No. Se ti fa piacere dico di sì, ma di fatto no.

Loro la succitata hit la fecero
Qual è?

“Mobydick” (1983, “Banco”) e la suonarono al Festival di Sanremo.
Vedi che combinano co’ ste hit, non devi farla una “hit” se la tua musica non lo consente. Rischi di rimanere nella mente, nelle orecchie della gente con “Mobydick”, magari “E mi viene da pensare” (1979, “Canto di Primavera”) non se la ricorda nessuno. Ma fa parte del gioco.

Scriverai una Mobydick e andrete a Sanremo?
Può darsi. A Sanremo, magari, ci andrei subito. Ma perché che cos’ha Sanremo che non va?

E che ne so? I grandi artisti lo snobbano.
Probabilmente non ci chiameranno mai. Però mi piacerebbe andare a Sanremo e suonare “Abu Ghraib”.

Non vorrei deluderti, ma il pezzo dev’essere inedito come da regolamento. Forse meglio il Premio Tenco.
Ma è chiaro, il Premio Tenco è il nostro obiettivo.

Come ti sei formato come cantante?
Io sono un autodidatta. Non conosco la musica, non serve per cantare, forse per insegnare. È chiaro che ho fatto uno studio sulla mia voce. Poi con il gruppo inizialmente abbiamo osservato il pubblico dei primi concerti e come reagiva alle nostre canzoni.

Avete usato il pubblico come ‘indicatore’?
Sì. A quel punto, senza tradire noi stessi, il nostro primo obiettivo è stato che il pubblico non andasse via dai concerti dicendo: non sanno suonare e, quindi, abbiamo accresciuto le nostre capacità tecniche provando di continuo. Come si impara un lavoro? Facendolo. Tra di noi per comunicare non usiamo le note, ci diciamo: “fammi un fieno”, ad esempio, non: “dammi un la”. Il “ la” non esiste, è una convenzione. La musica è intuito. La trascrizione musicale esiste per poterla tramandare, ma il musicista non è un matematico. Però non sono contro chi studia. Sono contro solo ciò che è stupido.

Cos’è stupido?
Voglio essere diplomatico, sono laureato in scienze politiche.

E qual è la musica intelligente?
Quella che ti piace. A livello di poetica gli Area ci hanno influenzato. Attualmente amo molto Robert Wyatt, adoro la sua libertà nella composizione, nei fraseggi vocali.

Ti piacerebbe collaborare con lui? Cristina Donà l’ha fatto.
..La Donà.., chitarra e voce, è una delle più brave d’Europa. Se fosse americana andrebbe da tutte quelle celebri e le zittirebbe, è incredibile quello che fa.

Hai citato gli Area. Allora qualcosa di “prog” alla fine c’è nella vostra musica.
Sì, ad esempio la scelta nella line-up del flauto traverso. Ma io non sapevo di avere una deriva progressive, l’ho capito ultimamente, quando tutti me lo facevano notare. Anche nella musica classica c’è il flauto traverso eppure voi critici non ci associate a questo genere.

Ma è perché voi fate ‘pop’ che venite accomunati al prog e non alla classica.
Sì, ma molte delle nostre derivazioni sono di musica classica. Io e il pianista sentivamo Maurice Ravel e Claude Debussy, quest’ultimo è stato un elemento fondamentale a livello di arrangiamento e struttura sul piano per arrivare a qualcosa che confina con Erik Satie e il pianoforte del novecento. Noi siamo un gruppo europeo del novecento e dentro c’è tutto quel retaggio storico.

Debussy e l’impressionismo musicale non fornivano immagini definite all’ascoltatore, ma impressioni da poter rielaborare.
Infatti, per noi tutto questo ha a che fare con un elemento visionario che ci contraddistingue. Nei nostri brani non c’è una storia, ma una visione. Non mi piacciono i testi con molte parole. Io desidero fermare l’attimo e lavorarci attorno. Ciò è legato alle forme di monotono, monocromatismo, che non è un rosso piatto e acrilico, per esempio, è un rosso pieno di sfumature interne.

Non è un quadro di Mondrian, ma più un Rothko.
Brava! Credo che tu abbia perfettamente colto ciò che intendevo. Le nostre forme di monocromatismo nascono da qui, c’è una spinta molto fisica, chi ha visto i nostri concerti, non a caso, parla di teatro.

È vero, siete molto fisici, avete un forte impatto sul pubblico.
Il fatto di essere autodidatta mi ha misurato giorno per giorno con la mia voce e mi ha fatto prendere contatto col corpo. Da qui la vicinanza con Demetrio Stratos, ma non sull’aspetto tecnico, più sul concetto della voce, sull’essere umano che canta e che può essere “un corpo risonante”. Devi avere una proiezione di te da dare agli altri, non un’ introiezione, altrimenti soffochi, ci deve essere questo rapporto col pubblico. Ma ciò avviene solo se, paradossalmente, amplifichi anche le tue possibilità tecniche. Poi ci sono persone che hanno una predisposizione, salgono sul palco e qualcosa succede, sempre. Altre no, mai.

Parli del carisma?
Forse.

Tu ce l’hai?
Spero di averlo, ma non sta a me dirlo. Credo che non ci si debba guardare né definire troppo, altrimenti si rischia di restare schiavi di se stessi. Non devi guardarti indietro. Il mito di Orfeo e di Euridice la dice lunga. Tu hai la tua bellezza, va bene, ma non devi voltarti a guardarla.

 

 

top

Pane: sprofondare, emergere.

di Stefano Solventi.

Una band dall’approccio cantautoriale intenso, quasi insostenibile, ma dalla cifra
sonora essenziale, capace di sintetizzare discendenze folk, prog e “colta”. Con leggerezza.
A pensarci bene, imporsi un nome come Pane è stata la scelta più naturale.
Pane è quello che vi capita ogni giorno, frugalità primordiale, minimo comune denominatore,
testimone basilare di un passato che è presente e sarà futuro. Oppure, ingrediente
“semplice, popolare, composito, povero, sacro ed essenziale”, come
sostiene Claudio Orlandi, che dei Pane è l’intensissima voce

“Un nome che è nato per gioco, prendendo spunto da una semplice situazione casalinga. Poi si è conquistato il suo spazio fino a diventare una sorta di immagine riflessa del nostro gruppo”.


La band prende forma nel 1992 dall’incontro tra Orlandi e il pianista Maurizio Polsinelli,
raggiunti più avanti da Vito Andrea Arcomano (chitarre), Claudio Madaudo (flauto)
e infine - con la calligrafia del gruppo già improntata ad una sorta di cantautorato
“da camera” - dal batterista Ivan Macera. L’omonimo album autoprodotto del 2003
fece saltare sulla sedia più di un recensore, tra cui il sottoscritto, letteralmente ammaliato
dal lirismo grave e febbrile (in italiano), dai fiabeschi deliri, dall’autorevolezza
e dalla semplicità di quelle stanze sonore.
Le recensioni si sbizzarrirono citando Area, CCCP, Doors, De André.
Oggi, in occasione del debutto ufficiale Tutta la dolcezza ai vermi, accade più o meno lo stesso.

Claudio si schernisce:

“Se esistesse un gruppo in grado di far convivere nel proprio ambiente artistico Area, CCCP, De Andrè e i Doors, sarebbe un fenomeno da studiare. Se poi aggiungessimo Debussy, Tristan Tzara e Viktor Cavallo, allora saremmo di fronte a dei dadaisti di borgata”.

Decido di incalzarlo e mi azzardo a definirli retro-avanguardisti, qualsiasi cosa significhi.

“In una bella recensione apparsa sul Venerdì di Repubblica, Luca Valtorta ha definito il nostro disco talmente intenso e medioevale da sembrare persino lieve e postmoderno. Forse anche lui ha avuto la tua stessa sensazione. Pasolini sosteneva di essere una forza del passato, ma era uno degli sguardi più lucidi sul suo imminente futuro. Forse bisogna davvero sprofondare per emergere”.

Mi chiedo, gli chiedo, se credono che la loro musica possieda (ancora) un pubblico.

“Crediamo di sì, per il semplice fatto che sempre più persone sono stanche delle musichette da supermercato e dei progetti musicali impagliati. Del resto l’autore non inventa nulla dal nulla, ma in qualche modo preleva, evidenzia, propone. A parte ciò, fondamentalmente preferiamo parlare di persone piuttosto che di pubblico”.

Allora per il Pane c’è un futuro.

“Sì, intanto ci sarà forse un video. Ma stiamo già lavorando al prossimo disco che vorremmo avesse un suono più Pane possibile!”

 

 

top

Pane su Mescalina

Canzoni che lievitano

Dopo un demo di qualche anno fa i Pane hanno saputo crescere, anzi, lievitare, offrendo con il loro esordio, "Tutta la dolcezza ai vermi", un sostanzioso impasto di musica da camera, canzone d'autore e rock visionario.
Di questa "ricetta", dei suoi ingredienti e di altro abbiamo parlato con Claudio Orlandi.


1. Claudio, raccontaci come è nato il progetto Pane..

Pane nasce fondamentalmente dal desiderio di fare della musica un lievito per le parole. Quando ci siamo incontrati io e Maurizio (1992) avevamo immediatamente instaurato, anche se inespresso…, questo progetto. Quello che era un lievito semplice, grazie agli incontro con Vito, Claudio Madaudo e Ivan è cresciuto, sino a diventare di quella natura composita di cui ora è formato Pane.

2. Come mai questo nome?

La risposta è già sopra volendo. Ci piace dire che principalmente con Pane si vuole richiamare a qualcosa di semplice e allo stesso tempo composito, complesso, sottolineare come da piccole debolezze si può generare una forza.

3. Siete nati quindi come un gruppo da musica acustica da camera?

Acustica da camera è un'espressione con la quale tempo fa abbiamo pensato di "chiamare" la nostra musica. Naturalmente le cose sono anche cambiate, ma abbiamo mantenuto quell'intimità, quelle risonanze da camera, quell'acustica, per essere più propri, da stanza.

4. Quanto è stato importante il contributo di Giancarlo Onorato per la realizzazione di questo disco?

Giancarlo e ..la LiliumProduzioni.., come prima cosa, ci hanno dato la possibilità di vedere il nostro lavoro inserito nel mondo dell'ufficialità, consentendoci il confronto con la realtà musicale italiana in maniera molto più estesa di quanto avremmo potuto fare con i nostri soli mezzi. Fu in occasione del Premio Pavanello di Trento del 2003 che seppero riconoscere in noi una "voce" a cui dare una risonanza nazionale. Altra cosa: in studio Giancarlo ha saputo interagire con noi con molta oculatezza e questo ha permesso ai nostri brani di non allontanarsi dalla strada che già da anni conoscevano. Questo per noi è stato sicuramente importante.

5. Mi.. sembra che siate riusciti a far convivere la vostra canzone da camera con un'attitudine teatrale che già si intuiva nel demo precedente..

Non so, mi pare che la parola "teatrale" sia un modo che spesso altri usano per definire quella che noi preferiamo chiamare "forza espressiva". Con la crescita individuale e dell'intero gruppo è naturalmente cresciuta anche quella forza espressiva, che proprio per questo sa farsi, scusa il gioco di parole, meno teatrale.

6. C'è anche un'anima rock nei Pane o almeno una certa energia che risale dai territori dei C.C.C.P. e C.S.I., no?

Assolutamente sì.

7. Tra l'altro si potrebbe dire che avete una certa affinità sia per il tipo di sguardo che per questioni geografiche: che ne dici? Loro puntavano verso la Russia prima e la Mongolia poi, voi più verso il Caucaso tramite Osip Mandel'stam..

In primo luogo vorrei dire che ogni accostamento ai CSI è per noi motivo di grande soddisfazione, ma anche di imbarazzo, riconoscendo in loro il gruppo più importante della scena musicale italiana degli ultimi anni. L'incontro con Mandel'stam è stato prima di tutto sul terreno della pagina poetica, un vero e proprio innamoramento. Non è tanto una questione di latitudini o longitudini, insomma, altrimenti non saremmo davanti a un grande poeta.

8. Tu sei stato in quelle zone?

Ancora no, ma è in cantiere un progetto (sogno) di presentazione del nostro lavoro in Crimea, la mia "terra natia”

9. E invece quanto hai frequentato i cantautori italiani? De Andrè? Ciampi? Tenco?

A dire la verità non moltissimo. E' solo da qualche anno che sto scoprendo la ricchezza della scuola cantautoriale italiana, ed è un vero piacere immergersi in certe bellezze.. penso sicuramente a Ciampi, Tenco, ma anche a Paoli, Endrigo, Lauzi…un patrimonio oserei dire unico al mondo

10. Mi.. viene da pensare che la forza insita nei pezzi dei Pane è fermentata anche grazie a questa parte della nostra canzone d'autore..

Se è vero che difficilmente si può restare immuni da certe influenze - ma qui stiamo parlando di patrimoni universalmente condivisi -, probabilmente le nostre sono più nei pressi di un certo rock visionario e di tutta una certa produzione letteraria. Siamo convinti che molta della nostra musica sia sinceramente influenzata dalla nostra memoria "storica" e "poetica", nonché dalla natura molto eterogenea dei bagagli musicali che ognuno di noi porta con sè. In ogni caso le nostre incursioni nella canzone d'autore hanno l'audacia e la pretesa di forzarne i "confini", per ridefinirli e allo stesso tempo confermarli.

11. Il tuo "Testamento" è figlio di quello di De Andrè? A me ha fatto venire in mente anche "Il testamento del capitano", che credo sia un canto degli alpini, almeno così me lo cantava mio padre..

"Testamento" nasce da una grande insoddisfazione, da una forte delusione nei confronti della società che viviamo. Una voce privata che vuole farsi generazionale, una rabbia amara. Ma è anche e soprattutto un invito al ricominciamento, che necessariamente deve partite da un atto di umiltà.

12. Come vedi le ultime generazioni di cantautori?

Le vedo benissimo dal punto di vista della creatività, molto meno bene se parliamo della visibilità che riescono di fatto ad ottenere. Senza dilungarsi in discorsi banali e deprimenti un certo mercato musicale affoga nel silenzio molte aree fertili, basta guardare lo spazio che la rai dedica al Premio Tenco, per non parlare del Premio De Andrè…siamo molto indietro.

13. Anche in questo senso, i Pane mi sembrano un progetto a parte, che sta lievitando in un angolo, in silenzio..

Nonostante le apparenze sentiamo il nostro lavoro in senso fortemente partecipativo, da condividere. E in effetti abbiamo molti amici con cui condividiamo le nostre esperienze. Il silenzio, anche, è sempre un momento necessario.

14. Avete uno spessore culturale nettamente sopra la media: citate Ligabue e Satie, poi Buzzati, Porta, Debussy via Ferrè..

Diciamo meglio che lo "spessore culturale" generale si è abbassato parecchio, forse troppo.

15. Anche quando usi una lingua più ironica ("Gallina") o innamorata ("Distanza amorosa"), le tue sono interpretazioni che danno peso alla parola, che ne sottolineano la forza … come sei arrivato a questa forma di espressione?

Non saprei dire Christian, non c'è una volontà specifica, non so se la forza di cui mi chiedi sia insita nelle parole, e quindi a me il compito di svelarne il contenuto, quasi in un atto di profanazione delle parole stesse, o se invece questa forza è un artificio che veste la parola di un abito che altrimenti non avrebbe. In ogni caso vorrei educarmi alla leggerezza, per poter lasciare alle parole e ai significati anche la possibilità di fuggire.

16. C'è un verso in "Abu Graib" di cui volevo chiederti, "La mia intuizione è la ferocia", che immagino sarà rivolto contro la violenza e le torture perpetrate in guerra: ce ne parli?

Ho scritto il testo proprio nei giorni in cui resero pubbliche le prime foto scattate nel carcere iraqueno. Alcune di quelle immagini si sono fissate nella mia mente in modo così forte da procurarmi una sorta di schok, non saprei come altro descrivere quella sensazione.. improvvisamente ho maturato un'immagine: un uomo che si risveglia in riva la mare, completamente sconvolto a tal punto da non ricordare cosa gli sia accaduto. La sua memoria è un'intuizione, intuisce il suo passato non lo ricorda.. nella confusione e tra i rumori della spiaggia viene colpito da immagini, odori, rumori, e in questo atto coglie la ferocia dei suoi torturatori. Una ferocia che si ripercuote anche fuori dalle carceri e dai campi di prigionia, che investe tutta la nostra società.

17. Queste parole tra l'altro potrebbero anche racchiudere quello sguardo spietato sul mondo di cui sono dotate le canzoni dei Pane tanto lontane dagli inutili sentimentalismi di molta musica che c'è in giro da risultare quasi feroci..

Cerchiamo di dare importanza alla parola e se le parole cercano di comunicare qualcosa di autentico certe volte possono sembrare spietate, che è come dire fuori da un orientamento consueto. Ma in fin dei conti si può anche dire un po' come tu dici, e cioè che forse è la lontananza dal mercatino delle parole che rende quelle dei nostri brani in qualche modo feroci. Ma a cercare le parole arriva spesso anche la grazia. Con una frase, possiamo dire che preferiamo un mucchio di sassi ai filari di perle, e il miele allo zucchero.

18. Chiudo chiedendoti del titolo: in "Tutta la dolcezza ai vermi" c'è più rabbia per quanto gli uomini sprecano e deturpano o più gratitudine per quanto nel mondo si rigenera dalla terra?

Tutta la dolcezza a te.

Grazie della tua pazienza, a presto..

Un abbraccio di pane..

Christian Verzeletti (10/ 05/ 2008)

 

 

top

Pane @ Ex Lavanderia

Dove il buio gocciola

Roma,2 novembre 2007

Sono passati due anni dall'autunno in cui passavo i pomeriggi in un teatro del Ghetto. Durante quella stagione dal petto pietroso e squarciato, come il cuneo dell'isola Tiberina, incontrai Pane per la prima volta al Rialto Sant'Ambrogio. Sedetti e lì rimasi immobile, nell'unico gesto possibile: il non gesto. La bestia garbata della voce di Claudio Orlandi si avvicinò prossima come la peste, come il demone. Ricordo, di quel concerto, le lacrime, la tragedia, il sorriso. E' stato l'acre odore del lievito di Pane che mi ha portato a rivederli il 2 novembre scorso.

Santa Maria della Pietà. Parto lontanissimo. Arrivo sulla Trionfale che il vento sferza e corre ma il buio gocciola dalle palme, evapora sulle luci gialle dell'ex manicomio. Chi introduce Pane sul palco racconta la storia di quel posto chiamando la struttura con il suo vero nome. Notte senza eufemismi. Mi emoziona vedere Pane prendere forma. L'ultima volta fu un anno fa in un locale a San Lorenzo. All'epoca, nello stridore degli artisti di Pane con un luogo grottescamente neon, il concerto impose il velluto della musica (ricordo una versione struggente di "Amandoti" dei C.C.C.P.). Claudio appare e già mi è familiare la schietta considerazione della propria musica, che lascia presentare alla musica stessa. Sul palco un pianoforte, una chitarra acustica, flauto traverso batteria e la voce. Apre un brano sulle "Rime" di Ludovico Ariosto, vera perla. Vago eco d'oriente nel secondo brano, per me inedito. Corazze d'oro, fragore di spade e pellegrinaggi di devoti. Il flauto disegna nell'aria il Babau che già sovrasta e riempie i nostri sguardi. Chiuse nelle profondità dell'abisso di voce, le parole, talvolta liberate dal tappeto di alghe si innalzano in delicata chiarezza, puntellate da note rarefatte di piano. E' una musica per sottrazione, come gli 'Schiavi' dell'ultimo Michelangelo. I colori di malva, burgundia; verde bosco che si apre all'oro (quando anche il fogliame si apre alla luce). Oscura e viscerale, elegante in alcune atmosfere mitteleuropee, femminile e irresistibile nelle leziosità del flauto e del piano. Puntuali eppure sorprendenti fioriture dei due strumenti, contraltare sottile alla spessa voce di Claudio. Il canto prende forma di orco in fustagno: una favola di Andersen? Al quarto brano già Pane ha aperto le pagine di tanta letteratura. Echi pasoliniani e popolari per una musica raffinata. E di seguito l'incanto è irreversibile. Splendida atmosfera creata dalla chitarra di Vito, con due note rarefatte in un silenzio che fa la siccità. Chiudo gli occhi e passo per la malinconica distesa di certi canti andalusi (la faccia attonita del flamenco). E niente di tutto questo è reale. Sono davanti a una musica che è e non è. La macchina prende ritmo come l'unico ingranaggio di certe bizzarre invenzioni dell'Ottocento. A cavallo tra contemporaneità, garbati incendi progressive, emorragie vocali e dolci fraseggi da piano del Novecento.

Il settimo brano è una canzone malinconica e sognante, l'insieme abbandona le gocce rare e pesanti di musica d'inchiostro per concludersi in un finale a cuore aperto. E' l'evocazione visiva di molteplici correnti artistiche, per me, il valore singolare della musica di Pane. "Passo Lento", e di nuovo il dinosauro prende il suo cammino, nel ritmo quasi giocoso tenuto del piano si inseriscono incisi di tango che mi fanno perdere la coscienza del luogo e del tempo. Si apre il baule di Pane: Majakovskij e dadaismo, incisioni anatomiche di Vesalio e acqueforti di Dürer, De Andrè e Battiato, e ancora le borgate, Pasolini. Fortunatamente, la Russia. E' il loro, di baule, o il mio? "Orsa Maggiore", un brano vigoroso come la discesa lungo una scarpata. Come un ballo in piazza e una parata di disertori. "Sonagli", dal testo di Tristan Tzara, "Piccolo Regalino" come introdotto da Claudio; e conclude "Distanza Amorosa" dal testo di Antonio Porta. Di nuovo si assembrano cumulonembi "In Bocca C'è Il Miele, Rimani". Un mantra pagano cantato come una verità perentoria, mi porta alla fine del concerto. Capolavoro. L'unica cosa possibile è portarsi la musica immediatamente nel sonno. A breve, finalmente, il nuovo album. Sul banchetto compro il loro lavoro del 2003. Nel libretto leggo "testo di Sylvia Plath". Sorrido, va via la luce. Esco dalla sala buia, ne attraverso una zabaione ed esco nella solitudine del parco di Santa Maria della Pietà, un ambiente folle come la bellezza.

Massimo Colaceci

 

top

MArteLive - 9 Maggio 2006

“Silenzio. Buh! Sobbalziamo. I Pane. Sono fuori…da qualunque schema. Perché su uno sfondo sonoro complesso e nell’insieme progressive, c’è Claudio che è altrove e da lì emette urla e recita le sue liriche con un’urgenza violenta" -----> [continua]

 

top

Pane per Victor Cavallo

Sulla porta del locale era affisso un foglio, formato A4. Non ricordo se l’immagine fosse stata in bianco e nero o a colori, ricordo però che mi colpì istantaneamente. Un ragazzotto della mia età in perfetto stile borgata anni ’70. Una smorfia che mi era familiare e sullo sfondo dei palazzi, con il cielo di una città ancora da costruire.
Ecchime
Victor Cavallo, Antologia Sinfonia..
Sulle prime non capisco cosa sia, un film, un cortometraggio, una spettacolo teatrale, un cd, un libro..si un libro, ma di cosa.. chi ha l'audacia di spezzare il tempo e proporsi con un Ecchime..
Cavallo nelle periferie è un termine che ricorre, chi non ha un “cavallaro” (il giocatore di cavalli..) nei paraggi, chi non ha mai sentito in lontananza urlare con voce rauca e insolente “A Cavallo..e nnamo scenni..! ”. Per me, nato e cresciuto a Pietralata – “..la divina Pietralata..” - è stato come un richiamo..(solo dopo seppi che quel soprannome non aveva nulla a che fare con l’ippodromo). Se in quel libro c’erano scritte delle parole, avrei cantato alcune di quelle parole, avrei dato loro il volume, il fiato e la forza di esserci..Ecchime!
..e poi il viso del ragazzotto sulla copertina del libro mi sembrava conoscerlo, di averci addirittura parlato.. ma chi era?
Stampa alternativa, compro il libro.

Sdraiato sul letto, ho il libretto tra le mani ed una matita.
Sfoglio velocemente fermandomi sulle poche immagini, le righe, la strana impaginazione, annuso la carta, qualche parola qua e là. Non mi ero sbagliato.
L’avevo visto quel viso, maturato nella vita di un uomo, ma è lui..Victor Cavallo, un attore. Ricordai di aver visto una sera un film che narrava i problemi esistenziali di un uomo come tanti, vero, senza trucco, con le sigarette ed il portacenere, il sudore di una stanza, i vestiti consunti.. (più tardi venni a sapere si trattava della pellicola “L’amico immaginario” di Nico D’Alessandria )..come in un giardino, a ritrovare i sassolini lasciati..
Cerco le parole, le “mie” parole..
Scarto, sottolineo, faccio segni..non è facile, le visioni si susseguono, aprono spiragli perfetti poi si chiudono e riprendo..arrivo
“Ero in provincia di Messina (bellissima dimenticata offesa) e svenni non so perché, non avevo bevuto né altro ma di colpo caddi come un cane fucilato.[...] ..quando ripresi non ho mai sentito tanto silenzio..”
Trattengo il fiato e leggo, proseguo, leggo e non respiro leggero e intenso, tengo duro, tieni duro..come il marmo Victor..la prosa si espande, si meraviglia..si tiene
“Sognai Ghandi che mi faceva una carezza..”
Piazza Vittorio / Dobloni d’oro..
“Sul viso le passò una nuvola fredda e lentamente si rimise le scarpe.

Si

(Claudio – pane)

top

MESCALINA
Canzoni che lievitano di Christian Verzelletti

Mescalina: Claudio, raccontaci come è nato il progetto Pane …

Claudio Orlandi: Pane nasce fondamentalmente dal desiderio di fare della musica un lievito per le parole. Quando ci siamo incontrati io e Maurizio (1992), avevamo immediatamente instaurato, anche se inespresso, questo progetto. Quello che era un lievito semplice, grazie agli incontro con Vito, Claudio Madaudo e Ivan, è cresciuto, sino a diventare di quella natura composita di cui ora è formato Pane.

Mescalina: Come mai questo nome?

Claudio Orlandi: La risposta è già sopra volendo. Ci piace dire che principalmente con Pane si vuole richiamare a qualcosa di semplice e allo stesso tempo composito, complesso, sottolineare come da piccole debolezze si può generare una forza.

Mescalina: Siete nati quindi come un gruppo da musica acustica da camera?

Claudio Orlandi: "Acustica da camera" è un'espressione con la quale tempo fa abbiamo pensato di "chiamare" la nostra musica. Naturalmente le cose sono anche cambiate, ma abbiamo mantenuto quell'intimità, quelle risonanze da camera, quell'acustica, per essere più propri, da stanza.

Mescalina: Quanto è stato importante il contributo di Giancarlo Onorato per la realizzazione di questo disco?

Claudio Orlandi: Giancarlo e la Lilium Produzioni, come prima cosa, ci hanno dato la possibilità di vedere il nostro lavoro inserito nel mondo dell'ufficialità, consentendoci il confronto con la realtà musicale italiana in maniera molto più estesa di quanto avremmo potuto fare con i nostri soli mezzi. Fu in occasione del Premio Pavanello di Trento del 2003 che seppero riconoscere in noi una "voce" a cui dare una risonanza nazionale. Altra cosa: in studio Giancarlo ha saputo interagire con noi con molta oculatezza e questo ha permesso ai nostri brani di non allontanarsi dalla strada che già da anni conoscevano. Questo per noi è stato sicuramente importante.

Mescalina: Mi sembra che siate riusciti a far convivere la vostra canzone da camera con un'attitudine teatrale che già si intuiva nel demo precedente …

Claudio Orlandi: Non so, mi pare che la parola "teatrale" sia un modo che spesso altri usano per definire quella che noi preferiamo chiamare "forza espressiva". Con la crescita individuale e dell'intero gruppo è naturalmente cresciuta anche quella forza espressiva, che proprio per questo sa farsi, scusa il gioco di parole, meno teatrale …

Mescalina: C'è anche un'anima rock nei Pane o almeno una certa energia che risale dai territori dei C.C.C.P. e C.S.I., no?

Claudio Orlandi: Assolutamente sì.

Mescalina: Tra l'altro si potrebbe dire che avete una certa affinità sia per il tipo di sguardo che per questioni geografiche: che ne dici? Loro puntavano verso la Russia prima e la Mongolia poi, voi più verso il Caucaso tramite Osip Mandel'stam …

Claudio Orlandi: In primo luogo vorrei dire che ogni accostamento ai CSI è per noi motivo di grande soddisfazione, ma anche di imbarazzo, riconoscendo in loro il gruppo più importante della scena musicale italiana degli ultimi anni. L'incontro con Mandel'stam è stato prima di tutto sul terreno della pagina poetica, un vero e proprio innamoramento. Non è tanto una questione di latitudini o longitudini, insomma, altrimenti non saremmo davanti a un grande poeta.

Mescalina: Tu sei stato in quelle zone?

Claudio Orlandi: Ancora no, ma è in cantiere un progetto (sogno) di presentazione del nostro lavoro in Crimea, la mia "terra natia" …

Mescalina: E invece quanto hai frequentato i cantautori italiani? De Andrè? Ciampi? Tenco?

Claudio Orlandi: A dire la verità non moltissimo. È solo da qualche anno che sto scoprendo la ricchezza della scuola cantautorale italiana, ed è un vero piacere immergersi in certe bellezze. Penso sicuramente a Ciampi, Tenco, ma anche a Paoli, Endrigo, Lauzi: un patrimonio oserei dire unico al mondo.

Mescalina: Mi viene da pensare che la forza insita nei pezzi dei Pane è fermentata anche grazie a questa parte della nostra canzone d'autore …

Claudio Orlandi: Se è vero che difficilmente si può restare immuni da certe influenze - ma qui stiamo parlando di patrimoni universalmente condivisi -, probabilmente le nostre sono più nei pressi di un certo rock visionario e di tutta una certa produzione letteraria. Siamo convinti che molta della nostra musica sia sinceramente influenzata dalla nostra memoria "storica" e "poetica", nonché dalla natura molto eterogenea dei bagagli musicali che ognuno di noi porta con sè. In ogni caso le nostre incursioni nella canzone d'autore hanno l'audacia e la pretesa di forzarne i "confini", per ridefinirli e allo stesso tempo confermarli.

Mescalina: Il tuo "Testamento" è figlio di quello di De Andrè? A me ha fatto venire in mente anche "Il testamento del capitano", che credo sia un canto degli alpini, almeno così me lo cantava mio padre … Da dove nasce quel pezzo?

Claudio Orlandi: "Testamento" nasce da una grande insoddisfazione, da una forte delusione nei confronti della società che viviamo. Una voce privata che vuole farsi generazionale, una rabbia amara. Ma è anche e soprattutto un invito al ricominciamento, che necessariamente deve partite da un atto di umiltà.

Mescalina: A propositi di inviti al ricominciameno, come vedi le ultime generazioni di cantautori?

Claudio Orlandi: Le vedo benissimo dal punto di vista della creatività, molto meno bene se parliamo della visibilità che riescono di fatto ad ottenere. Senza dilungarsi in discorsi banali e deprimenti, un certo mercato musicale affoga nel silenzio molte aree fertili, basta guardare lo spazio che la Rai dedica al Premio Tenco, per non parlare del Premio De Andrè … siamo molto indietro.

Mescalina: I Pane mi sembrano un progetto che sta lievitando in un angolo, in silenzio …

Claudio Orlandi: Nonostante le apparenze sentiamo il nostro lavoro in senso fortemente partecipativo, da condividere. E in effetti abbiamo molti amici con cui condividiamo le nostre esperienze. Il silenzio, anche, è sempre un momento necessario.

Mescalina: Avete uno spessore culturale nettamente sopra la media: citate Ligabue e Satie, poi Buzzati, Porta, Debussy via Ferrè …

Claudio Orlandi: Diciamo meglio che lo "spessore culturale" generale si è abbassato parecchio, forse troppo …

Mescalina: Anche quando usi una lingua più ironica ("Gallina") o innamorata ("Distanza amorosa"), le tue sono interpretazioni che danno peso alla parola, che ne sottolineano la forza … come sei arrivato a questa forma di espressione?

Claudio Orlandi: Non saprei dire, non c'è una volontà specifica, non so se la forza di cui mi chiedi sia insita nelle parole, e quindi a me il compito di svelarne il contenuto, quasi in un atto di profanazione delle parole stesse, o se invece questa forza è un artificio che veste la parola di un abito che altrimenti non avrebbe. In ogni caso vorrei educarmi alla leggerezza, per poter lasciare alle parole e ai significati anche la possibilità di fuggire.

Mescalina: C'è un verso in "Abu Graib" di cui volevo chiederti, "La mia intuizione è la ferocia", che immagino sarà rivolto contro la violenza e le torture perpetrate in guerra: ce ne parli?

Claudio Orlandi: Ho scritto il testo proprio nei giorni in cui resero pubbliche le prime foto scattate nel carcere iracheno. Alcune di quelle immagini si sono fissate nella mia mente in modo così forte da procurarmi una sorta di shock, non saprei come altro descrivere quella sensazione ... improvvisamente ho maturato un'immagine: un uomo che si risveglia in riva al mare, completamente sconvolto a tal punto da non ricordare cosa gli sia accaduto. La sua memoria è un'intuizione, intuisce il suo passato non lo ricorda; nella confusione e tra i rumori della spiaggia viene colpito da immagini, odori, rumori, e in questo atto coglie la ferocia dei suoi torturatori. Una ferocia che si ripercuote anche fuori dalle carceri e dai campi di prigionia, che investe tutta la nostra società.

Mescalina: Queste parole tra l'altro potrebbero anche racchiudere quello sguardo spietato sul mondo di cui sono dotate le canzoni dei Pane … tanto lontane dagli inutili sentimentalismi di molta musica che c'è in giro da risultare quasi feroci …

Claudio Orlandi: Cerchiamo di dare importanza alla parola e, se le parole cercano di comunicare qualcosa di autentico, certe volte possono sembrare spietate, che è come dire fuori da un orientamento consueto. Ma in fin dei conti si può anche dire un po' come tu dici, e cioè che forse è la lontananza dal mercatino delle parole che rende quelle dei nostri brani in qualche modo feroci. Ma a cercare le parole arriva spesso anche la grazia. Con una frase, possiamo dire che preferiamo un mucchio di sassi ai filari di perle, e il miele allo zucchero..

top

Barbara Proni per il Gazzettino di Montesacro (4 luglio ’05)

PANE: ANIMA ACUSTICA

Strano nome per un gruppo musicale, sembra una scelta concettuale sofisticata, di apparente e studiata semplicità. Claudio Orlandi, voce e colonna portante dell’ensemble romano, mi smentisce con un sorriso limpido che sbuca da una severa barba filosofica.

“Il nome si riferisce proprio al pane; solo in seguito ha acquisito anche un significato simbolico”

Pane è gruppo maturo e assolutamente onesto, che prescinde dalle logiche e dai modelli proposti-imposti dal mercato musicale ufficiale. Oltre e forse prima di essere una rilevante realtà sonora, è un’idea di più ampio respiro, che tocca tutti i campi dell’arte. Una disposizione a lasciarsi attraversare da energie vive, da spaccati di realtà che toccano corde intime e producono risonanze.

“L’arte è la nostra possibilità di esistere dignitosamente, la via parallela alla conoscenza, la voce chiamata a testimoniare delle umane libertà. E in un momento storico come questo, in cui la nostra società riserva ad essa un ruolo e uno spazio solo ove asservita a scopi ben precisi cui dovrebbe essere estranea, altrimenti la relega ai margini, l’arte e la poesia sono una forma di resistenza”.

Così afferma Claudio Orlandi con un filo d’amarezza.

La costante attenzione ai testi è una delle cifre stilistiche distintive:

“Sono scritti da noi. Altre volte musichiamo poesie note (di Rimbaud, Ariosto, Marini, Plath…) che sentiamo in modo particolare. Ma non è un semplice aggiungere una melodia di accompagnamento a dei versi. È una sorta di processo alchemico in virtù del quale dalla fusione profonda di due elementi ne prende vita un terzo, nuovo e di natura diversa”.


Nei testi e negli arrangiamenti del Pane è presente una sorta di sapiente “gioco dei contrasti”, l’accostamento di elementi in apparente contraddizione tra loro, che si compongono infine in una coerente e compiuta trama in bianco e nero in cui ogni sfumatura acquisisce particolare spessore e risalto.

“Ci piace lavorare su questa caratteristica,” dice Orlandi, “ci appartiene, come la scelta di attenerci il più possibile a sonorità acustiche, che risponde alla nostra esigenza stilistica di mantenere le composizioni -anche quelle più apparentemente surreali- il più possibile aderenti alla realtà. Le nostre origini sono “popolari”, io sono di Pietralata, Maurizio di Vigne Nuove, Vito del Prenestino, è un importante sostrato che vogliamo mantenere. Abbiamo l’obiettivo costante di porre l’ascoltatore davanti a qualcosa di vivo che apra spazi di coscienza”.

Nella dimensione live il gruppo si esprime al meglio, con una tensione teatrale e scarna al tempo stesso che impone la massima attenzione a chi ascolta. La voce di Claudio Orlandi è ora pastosa e carezzevole, ora piana e recitativa, ora un aspro grido, ora un sussurro, ora il verso di un gabbiano…

“La voce è uno strumento perfetto; da due-tre anni ho acquisito la consapevolezza di poter e dover fare con essa certe cose, ora ci sto studiando su, sto facendo un’attenta ricerca sonora”.

Recentemente hanno condiviso il palco con realtà musicali di rilievo (tra gli altri Têtes de Bois, Il Parto delle Nuvole Pesanti, El Muniria), vinto vari Premi ed ottenuto importanti riconoscimenti (per citarne solo uno, il premio per la miglior esecuzione tecnica all’ultima edizione del Concorso Augusto Daolio di Sulmona, con il brano “Termini Haus”).
Il loro cd, che si intitola semplicemente “Pane”, è un affresco sonoro monumentale e fulminante condensato in poco più di venticinque minuti. L’incipit è solenne con “Epicedio de morte” (il cui testo è aulicamente tratto dalle Rime di Ariosto), lamento funebre corale di composto vigore; si prosegue con “Insonnia”, testo tratto dalla poesia Insomniac di Sylvia Plath, pezzo alienante e ipnotico in cui il flauto duetta e si insegue nervosamente con la voce; per arrivare all’assolutezza intensa e delicata di “Incudine”, solo voce e piano. “Passo lento”, reminiscenze di tango per esprimere con divertito disincanto l’assurdità dei fuori-tempo della vita, l’aprirsi di piccole crepe nel quotidiano; e ancora la passionale “Fiamma”, che a tratti ricorda De André. E la sontuosa “Termini Haus”, quasi una suite in tre parti in cui si mescolano condanna sociale, aggressività interpretativa e echi etnici. “Rivoluzione”, un telegramma, forse il brano più teatrale e di meno immediato ascolto. Per finire con “La Sedia”, minimalismo recitativo altamente simbolico, in alcuni passaggi definitivo.

Barbara Proni, Il Gazzettino di Montesacro – 4 luglio ’05


top

Incontro con il Pane - di Marco Cavalieri (Radio Città Aperta)

Molti, ascoltando la musica del gruppo Pane non possono far a meno di ricordare il Banco. Alcuni - ipnotizzati dal flauto - pensano ai Jethro Tull. Altri, pochi a dire il vero, sentono riecheggiare nei recitati del cantante la poesia di Jim Morrison.
Tutto e niente, in realtà. La verità - ma solo quella di chi scrive, sia chiaro - e' che nella musica del gruppo Pane ritrova finalmente cittadinanza la voglia di Prog Anni '70 degli orfani dei nostri gruppi storici, P.F.M., Osanna, Napoli Centrale, Alluminogeni, Balletto di Bronzo, Garybaldi, The Trip, il Volo, Metamorfosi...
E, siccome so bene quanto certi paragoni castrino le legittime ambizioni di originalità di ogni gruppo, dirò subito che questo non e' un disco fatto oggi col proposito di suonare come allora, ma è un disco che sembra pensato, nato e suonato in quegli anni. Spero che Claudio Orlandi non me ne voglia per questo parere, perchè - chi mi conosce lo sa - lo intendo come il migliore dei complimenti. D'altra parte, è lo stesso Claudio a spiegare che un certo genere di musica richiede, quasi esige, un uso della voce che porta a determinate timbriche.

Il risultato, a mio avviso, e' un ottimo disco dal sapore Prog, dove le citazioni non tolgono nulla alla creatività del gruppo.

Ma, come nostra abitudine, per parlare di "Pane" (lavoro, peraltro, del 2003) non sommergeremo i nostri ascoltatori con fiumi di parole senza senso, ma invitiamo tutti ad ascoltare i pezzi a disposizione sul sito www.progettopane.org e lasciamo volentieri la parola a chi ha pensato, scritto e cantato questa musica. Per questo ci sono venuti a trovare Claudio Orlandi (voce) e Maurizio Polsinelli (synth e tastiere) che, per l'occasione, ci hanno regalato in anteprima anche due nuovi brani del progetto Pane.

Claudio - "Io e Maurizio abbiamo cominciato nel 1991, pianoforte e voce con alcune cover dei Doors. Poi ci siamo messi a lavorare sulla lingua italiana e quindi abbiamo iniziato a proporre pezzi nostri. Nel tempo si è formato il gruppo vero e proprio, con l'ingresso di Vito Arcomano alla chitarra acustica, Claudio Madaudo al flauto traverso e Ivan Macera alla batteria".

- Parlavi di lingua italiana, dell'importanza del testo. Nella vostra biografia citate l'influenza che Lindo Ferretti e Battiato hanno avuto su di voi sotto questo aspetto. Musica e parole che a mio avviso si fondono alla perfezione in questo lavoro.

Claudio - "Come sottolineavi, per quel che riguarda la voce e l'approccio all'esecuzione io parto dalla scuola di Jim Morrison. All'inizio mi dicevi che questo non si sente molto nel nostro disco. E questa è forse la cosa più bella per me: dopo aver cominciato ad impostare una voce, ho cercato la mia, nella mia lingua. Passare dall'inglese delle cover all'italiano comporta il fatto di cercare tecniche diverse per usare consonanti e vocali che abbiano tempi e strutture fonetiche diverse".

Trovi che la nostra lingua, rispetto alle altre, sia si più ricca ma anche più difficile da usare in musica, contrariamente a quanto avviene - ad esempio - nella poesia?


Claudio -
"Mah, io non farei distinzioni così ampie. Personalmente credo che ogni lingua abbia le sue caratteristiche. Senza l'inglese non avremmo un certo tipo di blues, di rock, di ricerca. Una volta un'amica mi ha fatto ascoltare la cassetta di un autore tedesco che faceva blues nella sua lingua... ti lascio immaginare la mia reazione! Non dico, con questo, che non si possa cantare il blues in tedesco, ma a ognuno il suo... L'italiano ha alcune caratteristiche che noi, in un certo senso, tradiamo. Nello specifico, si apre molto felicemente in determinate armonie ed e' quella la sua ricchezza. Il mondo si aspetta quello da noi. Per quel che riguarda il Gruppo, come ti dicevo, siamo nati piano e voce, la mia vocalità si e' appoggiata subito al piano. Col tempo ho imparato ad usare l'italiano su forme particolari di suono, fuori dalla struttura canzone. Faccio un esempio: personalmente sono rimasto sempre un pò distante dal cantautorato classico... ma non per un atteggiamento di sufficienza".

- Leggevo infatti che solo recentemente ti sei accostato a De Andrè, apprezzando molto peraltro i suoi ultimi lavori...

Claudio - "Si, trovo miracolosi i suoi ultimi dischi, ma non ho amato mai più di tanto la ballata, non scrivo storie nel senso classico del termine, non e' nelle mie corde. Preferisco piccole visioni, il suono della parola e la sua interpretazione danno il senso di questa visione".

- Immagini, come dicevi, che si susseguono a ritmo molto movimentato. La musica asseconda le immagini (dettate dalle parole) e quindi, come nella classica, troviamo anche all'interno di uno stesso brano più movimenti, l'adagio, l'agitato...

Maurizio - "Ma infatti, a proposito di questa vena progressive che dovremmo avere... io credo che la nostra influenza vada riportata ancora più indietro, sino alla musica classica. Anche il progressive attinge moltissimo alla musica classica, in maniera diretta, attraverso l'ascolto, come facciamo noi. Personalmente, ho una formazione classica. Ecco allora, forse, perchè la nostra musica assomiglia molto a quella degli Anni '70, sebbene noi ne abbiamo ascoltata pochissima. E' un malinteso, in realtà".

- Ad aprile avete organizzato la prima edizione del Festival di San Romolo, un'interessantissima manifestazione a cavallo tra musica e poesia che ha messo insieme un sacco di bella gente...

Claudio - "Fortunatamente non eravamo soli nell'organizzazione. Innanzitutto i ragazzi della Locanda Atlantide, il locale dove si è svolta la manifestazione. Poi Andrea Milano, Gerardo Casiello della Contrada Casiello, Alessio Bonomo... Sono state tre giornate che hanno visto alternarsi sul palco una trentina di gruppi tra nuove proposte e artisti storici, quali Francesco Di Giacomo, Rodolfo Maltese, Piero Brega e Sara Modigliani del Canzoniere del Lazio, Pinomarino, Paolo Pallante. Artisti che in gran parte conoscevamo, altri che abbiamo avuto il piacere di conoscere in questo frangente... ".

- E' quindi possibile metter su (peraltro in pochissimi giorni) un Festival che raccolga tanti nomi fuori dai soliti circuiti e ottenere riscontri tanto lusinghieri...

Claudio - "In realtà, questa era una sorta di numero zero. L'intenzione adesso, anche in base al successo ottenuto, e' quella di rendere questa manifestazione annuale e speriamo di avere un sostegno, soprattutto da realtà come la vostra, per promuoverla. Quest'anno il Festival vedeva al centro la parola, tanto che tutta l'edizione era dedicata a Mario Luzi. Tra l'altro, avevamo pensato a lui proprio poco prima che ci lasciasse; l'idea iniziale era quella di invitarlo per consegnarli un riconoscimento".

- Importante ricordarlo anche per quella incredibile dichiarazione di un ministro della repubblica che si e' vantato di non aver mai letto nulla di Luzi...

Claudio - "Beh, quella dichiarazione ha fatto scattare in me un meccanismo di reazione, ho pensato subito che non sarebbe dovuta passare così... Quell'impegno così forte di Luzi nell'ultima parte della sua vita, spesa per rivendicare i valori della nostra cultura, meritava un ricordo, un ringraziamento".

- Recentemente avete vinto il premio Pavanello per la canzone d'autore...

Claudio - "E' una cosa che ci ha riempito di gioia. Come sapete, ci sono molti concorsi musicali con giurie di qualità formate da cantanti affermati o personaggi della cultura. Tu spedisci il tuo lavoro, la commissione fa una scelta, alcune volte ci sono riconoscimenti in denaro, altre semplicemente rimborsi spese... Può sembrare una cosa materiale, che stride con la cultura, ma nel nostro campo gira davvero pochissimo denaro e questo ti impedisce di lavorare. O almeno, non puoi essere un professionista della musica, ma devi avere un altro lavoro - che magari detesti - ma che ti permetta di sopravvivere e di fare quel che sogni. Io ho conosciuto moltissimi giovani che ammiro profondamente per la loro capacità di organizzarsi con il minimo indispensabile, a volte anche meno. E' però una realtà che vive, che esiste, una risorsa culturale irrinunciabile per un paese che investe sempre meno in cultura. E i risultati sono sotto gli occhi di tutti.".

Marco Cavalieri (maggio 2005)

 

top

In cerchio con… - a cura di Alessio Luise [www.cerchioazzurro.com] - gen. 2005

Come nasce il progetto pane, quali sono i riferimenti culturali e le aspirazioni del vostro operare artistico?

R- Nel 1992 quando mi sono incontrato con Maurizio Polsinelli (il nostro pianista) avevamo delle vaghe idee in testa, ma principalmente vivevamo la musica come una possibilità concreta di sfogare la nostra indole creativa. Suonare era indubbiamente anche un modo piacevole e non comune per condividere delle ore e rendere prelibato del vino di scarsa qualità. In generale una sorta di svago creativo. Col tempo le cose non che siano cambiate radicalmente, ma sicuramente hanno acquistato dei contorni più precisi. Il mio interesse per il mondo dell'arte è cresciuto sempre più e la musica ha assunto progressivamente un'importanza centrale nella mia vita. Il Pane m'è cresciuto addosso come una seconda pelle.

Quando si suonava, per me e Maurizio, il piacere era prima tutto il vederci suonare insieme, godere di taluni passaggi o sfumature sonore. E' un principio tutt'ora valido, oserei dire fondamentale. Per questo motivo era assurdo mettersi alla ricerca di musicisti per allargare il gruppo. Eravamo eventualmente interessati a delle persone non a musicisti. Il caso ha voluto che incontrassimo Vito. Un tipo curioso e taciturno, ma con dei gusti musicali molto simili ai nostri. Fondamentalmente ci interessava il suo modo di stare al mondo. Prendemmo a provare con lui alcuni brani finendo spesso per perderci in lunghi corpi sonori monotonali.. a volte rimanevamo in una sorta di trance sonora per molti minuti e quando con la bava alla bocca ne uscivamo ci si guardava in faccia sfiniti e sorridenti. Abbiamo lavorato in tre per molto tempo. Facevamo uno, due concerti l'anno in posti improbabili, una sorta di esibizione per gli amici al fine di saggiare gli effetti della nostra musica. Non che ci spaventasse il pubblico, semplicemente non era ancora chiaro cosa volessimo fare. Le idee erano molte ma contorte, la tecnica non ancora sufficiente e le cover non ci interessavano. Pezzi proponibili ne avevamo pochi e incerti.. mesi e mesi di sala prove.. (per un periodo abbiamo provato con una ragazza alla batteria, ma poi ci ha lasciato per incompatibilità stilistica). E' col tempo che abbiamo acquistato una sempre maggiore padronanza nel canalizzare la nostra espressività e soprattutto coscienza dei nostri obiettivi artistici.
Claudio Madaudo ed Ivan Macera sono stati gli altri due incontri che il fato ci ha consegnati per rafforzare il Pane.. In effetti è da poco tempo che con la formazione "completa" stiamo proponendo il nostro lavoro.

Difficile tratteggiare in poche righe i riferimenti culturali e le aspirazioni artistiche che sottendono il progettopane. Mi limiterò ad un accenno che ritengo importante: Nell'opera cinematografica di Pier Paolo Pasolini "Salò o le 120 giornate di Sodoma", la Pianista che accompagna i racconti delle "Signore" nei vari gironi, non sopportando più la violenza dei fatti si suicida gettandosi dalla finestra di una delle stanze. E' la scena che più mi ha colpito del film e sulla quale ho riflettuto e continuo a riflettere ancora oggi.. Nel mio modo di concepire l'esperienza artistica, essa non dovrebbe mai accompagnare e rallegrare il banchetto dei carnefici, né soccombere di fronte alla violenza e al ricatto. Le sue risposte possono essere il silenzio o la lotta - Pasolini non amava certo tacere..
L'arte è la nostra possibilità di esistere dignitosamente, la via parallela alla conoscenza, la voce chiamata a testimoniare delle umane libertà. E' compito del singolo "artista" concepirsi in quanto tale ed imporsi nella sua dignità.

La vostra proposta può essere definita dilapidatoria... difficilmente utilitaristica ... seppure sia distante l'allineamento alle influenze diffuse delle tendenze più in voga nel panorama musicale attuale , pane offre un cd generoso e coinvolgente, credibile dinamico e ricco di una certa emotività difficilmente reperibile nei lavori dell' arte ufficiale. Quale idea ti sei fatto della discografia italiana, dell'industria culturale nazionale..?

R- In primo luogo ti ringrazio per le tue considerazioni intorno al nostro lavoro.. In effetti, rispetto ai concetti da te espressi, non capisco come una proposta artistica se realmente tale, possa definirsi "utilitaristica". Ma il punto è proprio questo, la maggioranza delle proposte che oggi investono quella che tu definisci "arte ufficiale", non sono affatto proposte artistiche. Sono offerte d'altro tipo che rispondono a determinati modelli e convenzioni.
Non mi riferisco solo ai grandi nomi del panorama nazionale e internazionale, ma anche a parte di quell'area che si autodefinisce indipendente e che nei fatti riproduce su scala inferiore la realtà che pretende criticare. Per molti l'obiettivo principale è imporsi, non cambiare le cose. Il sempre minor coraggio nelle scelte artistiche, e l'adozione di modelli preconfezionati da scimmiottare alla meno peggio pur di rendersi visibili e riconoscibili, sono dati evidenti che rendono il panorama poco confortante, ma ciò che davvero più annoia è la percezione della quasi totale estinzione della possibilità di concepire il cambiamento.. cosa che soprattutto nel campo artistico dovrebbe essere un principio portante.
In generale basterebbe riflettere sul termine "industria culturale" per capire di cosa si tratta e quali siano i suoi principali obiettivi.

…..i raffinati riferimenti letterari e il sostrato colto delle musiche è ben calibrato dalla tua interpretazione carismatica e teatrale dei testi. Di quali autori ti sei occupato fino ad ora? Chi vorresti trattare in futuro ?

R- Questa domanda mi permette di riallacciarmi al primo tema affrontato. Quando ho iniziato a cantare, o meglio dire ad usare in qualche modo la voce (visto che cantare è cosa difficilissima..), l'ho fatto per amicizia verso dei carissimi amici, una sorta di favore a tempo più o meno determinato. Sin dal primo momento però ho avvertito nell'emissione del suono una straordinaria possibilità di assaporare la libertà. Avevo percepito questa forza istintivamente ed in maniera quasi violenta la prima volta che ascoltai la voce di Jim Morrison (dico istintivamente perché in casa mia non si ascoltava generalmente musica e non c'era dunque un'educazione all'ascolto o un orientamento verso un genere in particolare). Per certi versi posso dire di essermi "formato" per mezzo della sua poetica e delle sue intuizioni artistiche.

Senza dubbio in quegli anni ho appreso dei valori che tutt'ora sento di seguire, ma è stato col tempo e con una ricerca personale che mi sono avvicinato sempre più ai miei suoni e soprattutto alla comprensione della voce come massimo strumento di libera espressione artistica. Un sentimento non facile da esporre. Per quanto attiene ai testi, sebbene amassi molto "cantare" le parole di alcuni poeti che allora leggevo frequentemente.., ho preso quasi subito a scriverne da me. Dopo una primissima fase in cui ho usato l'inglese, mi sono scontrato con la difficoltà della lingua italiana. Una difficoltà di cui mi sono in seguito innamorato. Come non rimanere affascinati dalle straordinarie capacità di lavorare la nostra lingua da parte di un Giovanni Lindo Ferretti o di un Franco Battiato. Un modo - il loro - di concepire la scrittura e l'esperienza artistica in genere, che mi ha sicuramente influenzato.

Stranamente mi sono sempre sentito distante da autori come Guccini o De Andrè - di quest'ultimo solo da poco ascolto i lavori, in particolare gli ultimi, che credo siano meravigliosi.
In generale non saprei dire cos'è che mi spinge ad occuparmi di un autore piuttosto di un altro. Improvvisamente un tema, una figura, un pensiero inizia a lavorarmi nella testa. Spesso in simultanea diversi spunti si contorcono l'uno sull'altro, alcuni si perdono, altri vengono lasciati a stagionare, altri pretendono di essere nel presente della mia vita in quel momento e mi lascio attraversare dalle loro forze... è come venir dilaniati per poi ricomporsi, con la coscienza di non essere più lo stesso di prima. Due autori che ultimamente mi hanno colpito con grande forza sono Antonio Porta e Victor Cavallo, dei quali infatti abbiamo musicato alcuni testi.

…La dimensione live pare essere fondamentale per un progetto di questo tipo, come gestite lo spettacolo e le rappresentazioni dal vivo ??

R- Non mi è facile rispondere a questa domanda. In effetti le rappresentazioni dal vivo sono per noi molto delicate. Ci sono diversi elementi da curare. La formazione tecnica, la resa fisica, la preparazione mentale.. In genere proviamo molte volte prima di un concerto, cercando di curare al meglio gli arrangiamenti e le sfumature sonore. Spazi sono lasciati all'improvvisazione, ma è più qualcosa che ha a che fare con le nostre capacità/necessità emozionali che non con l'esecuzione vera e propria.
In relazione ai nostri obiettivi acustici, cerchiamo nei limiti del possibile di conoscere il posto in cui dovremo esibirci ed il tipo di pubblico che ci troveremo davanti. Non tanto il repertorio, ma l'approccio stesso al concerto può variare sensibilmente. Sul palco esigiamo dal pubblico un certo grado di attenzione per non dire rispetto, nel senso buono del termine. La nostra è più un'esposizione che una vera e propria esibizione. Proprio per questo ci sentiamo in dovere di rispettare il pubblico esponendo i pezzi al meglio delle nostre possibilità.
Credo che ci debba sempre essere un motivo plausibile per il fatto di essere su un palco.. del resto la' sopra ci giochiamo la nostra credibilità artistica nonché il nostro equilibrio psico-fisico...

Pane.... con la poesia non si mangia, oppure di poesia si vive...?

R- Oggi si sente spesso parlare di poesia, e sempre più persone dedicano ore della propria giornata alla scrittura di piccole frasi, riflessioni, testi di vario genere, che con un po' di buona volontà potremmo far rientrare nell'ampia categoria di Poesia. Il grande successo dei blog, testimonia questa necessità di espressione delle persone (e sottolineerei il termine espressione, in contrapposizione al comunicare, termine che non uso volentieri e che ormai viene indicato come l'obbligo morale a cui ognuno deve sottomettersi per guadagnarsi una sorta di patente d'esistenza !). Ma a ben vedere, in una società come la nostra quale ruolo è riconosciuto alla poesia ? Ed allargando drammaticamente il discorso, quale il ruolo riconosciuto all'arte e alla cultura in genere ? Vedo già scuotere le teste...

Diciamocelo francamente, viviamo in una società in cui tutto ciò che non porta profitto è relegato ai margini. Chi oggi, in un modo in un altro non produce un reddito quantificabile in denaro, non solo non viene apprezzato ma viene visto come inutile o peggio come una forma parassitaria di esistenza. Spesso chi ha la pretesa di occuparsi di cultura rientra in questa categoria.. Gli stessi blog, nonostante le enormi potenzialità, sembrano in definitiva sempre più degli orticelli lasciati in concessione alla sempre più ristretta libertà/possibilità d'espressione, che non a piattaforme di discussione da cui prendere il via per azioni concrete - come spesso vengono presentati o vorrebbero che siano taluni "pensatori" post-moderni ormai completamente confusi tra realtà e virtualità, se non asserviti alle logiche del dominio mediatico.

Com'è chiaro intendere non si tratta di una situazione circoscritta ad un campo specifico. In ogni settore dell'odierna società, qualsiasi esso sia, vedremo la sua dimensione culturale confinata ad un livello inferiore rispetto all'asse trainante. Il risultato inevitabile è che sempre meno ci si impegna per incentivare iniziative che abbiano la cultura al cuore dell'attività. Ma quale futuro ha una società di tal fatta ? Dobbiamo dunque rassegnarci ad un società senza cultura e senz'arte, in cui troverà spazio solo l'arte ufficiale, finanziata e voluta dal sistema - la Pianista di Salò per intenderci - ch'è in ultima istanza la negazione dell'arte in quanto espressione di libertà ? Rassegnarci ad un abbrutimento totalitario, ad un'involuzione ? Purtroppo chi oggi crede di poter cambiare il mondo con la poesia e l'arte in genere non è nemmeno più un utopico rivoluzionario, ma al limite un povero sognatore, se non un emarginato.

Guardiamoci attorno senza false illusioni. Interi paesi in preda alla barbarie più cieca. Milioni di vittime innocenti calpestate dal diritto del più forte. Nel nostro paese in particolare, un'aggressiva forza reazionaria e oscurantista sta demolendo le conquiste di decenni di faticosissima dialettica democratica. Una viscida alleanza tra affaristi senza etica, fascisti, "fondamentalisti cattolici" e rozzi analfabeti sta stritolando la società civile... Qual è dunque il ruolo dell'arte ? Chi questo mondo non vuole cambiarlo ma dominarlo, sa bene che di tante cose un uomo può privarsi, ma non del pane quotidiano. La difficoltà è sempre la stessa, da sempre. Riuscire a poter vivere della propria arte.

Se non si riesce a mangiare con la propria arte si sarà costretti a guadagnarsi da vivere con altri lavori. Ciò purtroppo renderà sempre più difficoltosa una professionalizzazione del proprio lavoro artistico, allontanando la possibilità di intervenire concretamente sull'assetto culturale di riferimento. Ma questo è proprio l'obiettivo di chi detiene le regole del gioco, di chi desidera ignoranza e sottomissione, non conoscenza e libertà. E' un circolo vizioso con cui tanti si trovano a fare i conti.. non sempre si riesce a tenersi in equilibrio in questa precaria situazione. Diciamo allora che di Poesia si resiste..

Sul vostro sito c’è una sezione dedicata alla questione Palestinese…Numerosi artisti affermati invece preferiscono parlare solo dei loro successi o delle loro cronache rosa…in un mondo in cui molti non hanno il pane, non trovi che essere artisti individualisti e disimpegnati sia offensivo ???

R- Quando abbiamo ideato il sito, accanto alle voci consuete che si inseriscono in un sito del genere, era mia intenzione inserire uno spazio aperto e in movimento dove poter raccogliere frasi, immagini, luoghi, che in qualche modo fossero collegate con il nostro modo di concepire l'esperienza artistica e la responsabilità che ne consegue. Una sorta di grande quadro semantico nel quale convogliare le nostre riflessioni, umori nei riguardi della realtà che ci circonda. Abbiamo dato il nome di "Visioni" a quest'area del sito.
Dopo la morte di Arafat, ci siamo sentiti in dovere di ricordare la sofferenza di un popolo che negli anni è stato vittima di orrori ed usurpazioni intollerabili sotto ogni punto di vista. A tal proposito abbiamo inserito un breve ma intenso testo della poetessa palestinese Fadwa Tuqàn, che a mio avviso testimonia in modo puro e vibrante il legame degli uomini con la propria terra natia. Da poco abbiamo inserito una pagina dedicata alla repressione che il regime cinese opera sugli intellettuali dissidenti del paese. Nei limiti di spazio concessi, cercheremo di rendere visibili tutte le visioni in un archivio ad esse dedicate.

...nel testo di Incudine tratteggi un'inconsueta similitudine tra pelle e ferro, il tutto calato nelle trame di un affresco musicale molto sensuale. Spesso poi fai uso nelle liriche di contrasti di luce e buio, pieni e vuoti, calore e freddezza, ben riflessi dagli arrangiamenti della band . Le meccaniche dialettiche del vissuto e la frazionarietà dei vissuti influenza la vostra composizione??

R- Se ben intendo la tua domanda, mi chiedi come la realtà del nostro vivere quotidiano finisca per influenzare le composizioni. Evidentemente dovrei estendere la domanda al resto del gruppo.. Personalmente credo sia importante sottolineare le nostre comune origini "popolari". Proveniamo da famiglie di lavoratori e viviamo nei quartiere periferici di Roma. E' un dato su cui riflettiamo spesso, e a cui ci sentiamo particolarmente legati. Per quanto riguarda testi e arrangiamenti mi fa molto piacere che tu abbia sottolineato questo "gioco" dei contrasti. E' una caratteristica su cui ci piace lavorare. Assieme alla scelta di attenersi il più possibile a sonorità acustiche, risponde alla nostra esigenza stilistica di mantenere le composizioni - anche quelle apparentemente più surreali - il più possibile vive ed aderenti alla realtà.

La credibilità del nostro lavoro è un principio che abbiamo sempre in mente, e che probabilmente abbiamo assorbito vivendo a contatto con determinate realtà. Per quanto riguarda la gestione del gruppo da un punto di vista più pratico, ossia la convivenza delle nostre singole "visioni" artistiche, direi che non sempre è facile realizzare e mantenere un equilibrio creativo. Per certi versi è l'aspetto più complesso, ma anche quello che a nostro avviso caratterizza una certa ricchezza del Pane, il nostro pezzo più bello.

Un libro ed una canzone che avresti voluto aver scritto tu.....

R- Non è un caso che sia uno dei pochi testi che ricordo a memoria e che canto senza bisogno del mio amato leggìo: Annarella di Ferretti. Credo sia davvero un testo bellissimo. L'ho sentito "mio" al primo ascolto. La presentiamo piano e voce solo in certe occasioni.. Per quanto riguarda il libro, mio caro Alessio, tocchi un mio punto debole.. amo leggere e mi piacerebbe moltissimo saper scrivere. Purtroppo nonostante gli sforzi non sono un gran prosatore, per cui ti dico che in primo luogo vorrei possedere il dono della scrittura. poi per rimanere nel gioco, direi che ho amato moltissimo Lo Straniero di Camus, Il Vangelo secondo Gesù di Saramago e Psicologia di massa del fascismo di Wilhelm Reich; in Italia Il deserto dei Tartari di Buzzati. Non averli scritti, ma almeno pensati.

Claudio Orlandi - dicembre/gennaio 2005

top

Pane in Movimenta... - a cura di Federico Vignali [www.movimenta.com] - dic.2003

Volete cominciare raccontandoci una vostra breve biografia? La scelta decisamente singolare del vostro nome, Pane, oltre a ricollegarsi ad un concetto di assoluta essenzialità (che si riflette ampiamente nei suoni delle vostre canzoni), vuole stabilire un legame con le migliori formazioni italiane degli anni '70 (es. P.f.M.)?

R- Il primo nucleo del Pane s'è formato nel 1992, dall'incontro tra Claudio Orlandi (voce) e Maurizio Polsinelli (piano). E' proprio a quei primi anni, segnati da diverse collaborazioni, che si deve il consolidarsi di alcuni elementi portanti della nostra musicalità, come l'energia espressiva ereditata da band come Doors e C.C.C.P., o la ricerca di una espressività più rarefatta ed evocativa, infusa da autori come Debussy, Ravel, Bartok. Nel 1994 l'incontro col chitarrista ritmico Vito Andrea Arcomano, che dalla frequentazione della musica progressive deve parte fondante della sua formazione e della sua ricerca sonora.

Dalla collaborazione dei tre ha inizio l'intensa attività compositiva del gruppo e la realizzazione dei primi demo. Il fecondo incontro poi con l'estroso flautista Claudio Madaudo (1998) provocherà il necessario dilatarsi della musicalità e un immediato arricchimento delle possibilità compositive e di struttura. La già "strutturata unità" del gruppo, verrà ulteriormente rafforzata in seguito dalla batteria del roccioso Ivan Macera (2001).
Per quanto riguarda il nostro nome, non c'è alcun rapporto tra questo e le formazioni degli anni '70, è solo molo molto semplicemente il nostro nome - Pane -

Che tipo di risposte sta avendo il vostro ultimo ep? Come pensate di continuare la promozione dei pezzi (nello specifico, qual è il vostro concetto di promozione, si collega principalmente all'attività live)?

R- Per chi già ci conosceva ed apprezzava il nostro stile, l'ascolto del nostro ultimo cd (Pane) ha confermato i giudizi espressi sul lavoro svolto dal gruppo sin qui, ma ha anche suscitato piacere osservare i pezzi ad un livello decisamente superiore di registrazione...
Lo stupore, credo sia stato invece il sentimento che ha colto chi ancora non aveva avuto occasione di ascoltarci. Alcuni si sono espressi con giudizi molto positivi, dimostrando di aver ascoltato con grande partecipazione i brani ed aver anche saputo stimare la nostra particolare idea di composizione, musicale e vocale, di non facile presa ad un primo ascolto. In questo senso siamo decisamente soddisfatti, e sempre più convinti nel seguire con umiltà e determinazione le nostre scelte compositive, sebbene spesso non combacino con i modelli "previsti" dall'odierno Music's supermarket. In questo senso, il nostro ultimo lavoro rappresenta anche per noi una continua fonte di ispirazione, non smette di stupirci.

Crediamo che parte della sua forza sia data dalla diversità di "atmosfere musicali" che vengono create dai brani; una diversità che però si dissolve nella comune forza espressiva. Una forza che rappresenta per certi versi la nostra caratteristica principale, una particolare carica espressiva che raggiunge nei concerti la sua dimensione più naturale. E' in effetti nello spazio dal vivo che concentriamo gran parte degli sforzi dell'attività promozionale.

Se non sbagliamo, voi siete attivi da molti anni nel circuito capitolino, ma solo da quest'anno avete fatto uscire un "lavoro ufficiale"? C'è un motivo particolare dietro questa scelta?

R - Solo dopo alcuni anni ci siamo sentiti "pronti" per una sala di registrazione. Non è stata solo una questione di soldi (anche se sarebbe ipocrita non riconoscere l'importanza della questione economica..), si è trattato più che altro di un delicato equilibrio tra noi stessi e la musica, di rispetto per la musica, per chi avrebbe ascoltato il lavoro e per noi stessi. In definitiva una serena miscela di equilibrio e rispetto.

Nel panorama attuale, il vostro stile e il tipo di strumenti che avete deciso di suonare (flauto, pianoforte, chitarra acustica e batteria ) vi rende una realtà decisamente atipica. Questa scelta vi ha un po' isolato o magari ha attirato la curiosità di ascoltatori dai gusti molto differenti?

R- Diciamo che non ci siamo mai sentiti isolati.

Ascoltando i vostri pezzi, sembra che per l'aspetto musicale fate riferimento quasi esclusivamente alla tradizione italiana (Tenco, Massimo volume, Csi, Banco…) mentre nella stesura dei testi, pur essendo nella nostra lingua, ci sono numerosi riferimenti alla letteratura russa e americana. E' così? In relazione a quale tipo di aspetti pensate di subire l'influenza dai maggiori gruppi stranieri?

R- Per quanto riguarda l'aspetto musicale, attualmente non abbiamo precisi modelli di riferimento, semmai un'enorme stima per taluni artisti (es. CSI, Franco Battiato) che hanno sicuramente influenzato la nostra formazione, personale prim'anche che musicale. In realtà ognuno di noi ha gusti personali che spaziano tra i generi più diversi.
Rispetto ai testi, di cui ho il grande piacere di occuparmi, non ho tabù.

Personalmente canterei qualsiasi testo, purché in possesso di un certo valore artistico o comunque di un "senso funzionale" al lavoro del gruppo. Scrivo spesso le parole a cui dovrò dare voce e volume ed è un'esperienza incredibile, ma mi affascina ed amo visceralmente "trovare" dei testi nell'opera poetica già esistente. Ho iniziato quasi subito, nei primi anni '90, a musicare e cantare le parole dei miei "eroi poetici" giovanili (Rimbaud, Blake, Ginsberg ecc.), e ho sempre pensato che il patrimonio artistico che ci è stato lasciato è lì, non per essere passivamente venerato o richiuso tra quattro ipocrite mura, bensì per essere amato e soprattutto vissuto dalle generazioni future.

La cosa che ci colpisce di più nei vostri pezzi, è l'assoluta interscambiabilità tra testi e musica. Nel loro intreccio le parole creano un effetto talmente solido che potrebbero coesistere senza musica e viceversa. Questo perché ci sono concept particolari dietro la vostra idea di gruppo?

R- L'unico concept che c'è dietro la nostra idea di gruppo è l'Idea di gruppo in se: essere un GRUPPO in una società ormai in preda all'individualismo più sfrenato.

La cosa che ci ha dato sempre fastidio della canzone d'autore italiana sono l'autoreferenzialità e l'eccessivo individualismo dei singoli autori. Voi pur facendo riferimento (anche) a quella scuola agite come un gruppo aperto e compatto. I vostri 5 background musicali sono molto diversi?

R- La bellezza, in alcuni casi, credo sia proprio il raggiungimento dell'unità partendo dalle diversità. Un'Unità compatta e nello stesso tempo aperta a possibilità diverse, convinta di se ma sempre pronta ad affrontare la difficile prova del "dubbio", tenendo sempre presente le proprie origini.

Questa domanda non si può non porvela. Quali sono i vostri attuali gusti letterari? Cosa ascoltate invece maggiormente in questi tempi?

R- Pier Paolo Pasolini e M. Rostropovich, i classici della letteratura italiana, Gustav Faure e alcune forme del jazz contemporaneo.

A quale film pensate che potrebbe adattarsi meglio, come colonna sonora, la vostra musica?

R- E' una prospettiva, quella di dar voce sonora alle immagini, che ci ha sempre incuriosito ed affascinato. Ci sentiamo molto portati nel farlo, forse perché tutta la nostra produzione è in fondo una grande colonna sonora per una sequenza d'emozioni visive, vere e proprie visioni. Fino ad ora abbiamo solo lavorato alle musiche di un carinissimo spettacolo teatrale per bambini, ma speriamo di avere in futuro nuove occasioni...

Che ne pensate dell'attuale scena italiana? Rispetto ad altri circuiti per esempio, non pensate che nel vostro genere ci sia molta meno collaborazione tra i gruppi?

R- Ci piacerebbe "ascoltare" più musica, interessarci ad autentici "fenomeni artistici" e vedere molta meno superficialità, molti meno "fenomeni commerciali". Salvo rare eccezioni (che per la verità rimangono il più delle volte relegate in spazi remotissimi incidendo pochissimo sull'attività artistica "ufficiale") è uno squallore vero e proprio quello che viene propinato quotidianamente dalla e alla nostra stupida società. Sarà retorica, ma tremendamente, drammaticamente reale.
L'arte è vita, e non senza rischiare, ha sempre accompagnato il movimento dell'evoluzione umana. Nel suo aspetto più naturale è quindi, a mio avviso, una forma di coraggio.

Purtroppo, l'attuale sistema sociale non gratifica più questa dimensione emozionale, se non in relazione ad inutili giochi televisivi e poco altro, e come un orco ignorante, finisce per scoraggiare, umiliare ed immettere paure, insicurezze e deleteria competitività nelle menti dei più giovani (ormai divenuti veri e propri oggetti di violenza psico-fisica). Ah, se le persone e le nuove generazioni in particolare capissero quanta libertà e quanta forza può esser vissuta attraverso la musica e l'esperienza artistica in genere..
Ma, non è forse questo il periodo più indicato per parlare di libertà, circondati come siamo di orecchie idiote, pronte a fraintendere qualsiasi messaggio che non sia passibile di commercializzazione o neutralizzazione.

- pane -

top

 
 
   
   
   
   
     
www.progettopane.org . copyright © 2011 [1280 x 800]