Prima Fenditura
Poeti Arabi di Sicilia, un progetto da riscoprire
“La maggior parte degli Europei
non ha un’esatta misura dell’importanza dell’apporto
che l’Europa ha ricevuto dalla civiltà islamica,
né ha compreso la natura di ciò che in passato
essa ha mutuato da quelle civiltà, e alcuni si spingono
fino a disconoscere completamente tutto ciò che vi
si riferisce. Questo accade perché la storia quale
viene loro insegnata travisa i fatti e pare essere stata deliberatamente
alterata in molti punti…” così scriveva
René Guénon
intorno alla metà del secolo scorso in un articolo
apparso nella rivista “El-Marifah”, tradotto
poi in “Études traditionnelles”.
“E’ importante notare che
l’insegnamento storico nelle università europee
–continua Guénon - non fa conoscere l’influenza
musulmana. Al contrario, le verità che in proposito
dovrebbero essere dette vengono sistematicamente omesse, negli
scritti come nell’insegnamento, soprattutto per quanto
riguarda gli avvenimenti più importanti. Ad esempio
è generalmente noto che la Spagna rimase per diversi
secoli sottoposta alla legge islamica, ma non si dice mai
che lo stesso accadde in altri paesi, come la Sicilia e la
parte meridionale della Francia attuale.”
E’ trascorso più di mezzo
secolo da quando il pensatore francese scrisse quanto sopra,
ma con tutta sincerità non credo si possa dire le cose
siano cambiate in meglio, anzi mi sembra che un fossato ancora
più profondo vada formandosi in questi ultimi anni
tra la realtà storica e le forme del conoscere comune.
Nella prima metà del IX
secolo d.C., dopo aver preso la Spagna gli Arabi,
divisi in tribù, si volsero alla conquista della Sicilia,
nodo decisivo nella strategia politica del Mediterraneo. Dalla
fortezza di Susa, l’attuale Sousse, partì un
centinaio di navi con diecimila soldati e cavalli. Nel giugno
dell’827 d.C., l’armata
approdò a Mazzara e da qui iniziò la conquista
dell’isola durata diversi decenni. Gli arabi - ha sostenuto
Vincenzo Consolo durante
un incontro tenutosi recentemente nella sede della Fondazione
Antonio Ratti tra lo stesso scrittore siciliano e l’intellettuale
marocchino Tahar Ben Jelloun
(autore dello splendido “il Razzismo spiegato a
mia figlia”)- trovarono l’isola in uno stato
d’abbandono e miseria, causa le depredazioni romane
e le varie spoliazioni, ma “con la civilizzazione araba,
durata due secoli e mezzo, la Sicilia attraversò una
sorta di rinascimento: scoprì le tecniche dell’agricoltura,
vide fiorire le arti e la scienza e diffondersi dei principi
di uguaglianza e tolleranza”.
La conquista araba non fu certo indolore
e come ogni atto militare provocò distruzioni e disordini,
oggi diremmo “danni collaterali”. Cristiani ed
ebrei dovettero pagare più tasse, portare particolari
indumenti per farsi riconoscere e segnare le loro case. Tuttavia
i nuovi conquistatori seppero anche rivelarsi clementi e rispettosi:
alcune città rimasero, almeno virtualmente, indipendenti
e la libertà di religione venne in qualche modo assicurata.
Quando poi nel 1091 giunsero
i Normanni, che riportarono l’isola alla cristianità,
l’eredità dei vinti fu accolta e inglobata, tanto
che – ricorda ancora Consolo - sotto il regno di Ruggero
il Normanno:“Palermo
contava 300 moschee, oltre a sinagoghe ebraiche e a chiese
cristiane dei due riti romano e bizantino”. Infatti,
durante la dominazione musulmana e fin dall’insediamento
delle prime comunità, gli scambi culturali tra gli
eruditi dell’Oriente e dell’Occidente musulmano,
resi possibili sia da ragioni commerciali, sia in quanto l’isola
offriva un comodo punto di transito sulla via del pellegrinaggio
alla Mecca, divennero frequenti e fruttuosi. Il clima instauratosi
ed un periodo di prosperità produsse una singolare
fioritura di poeti e rimatori locali, e in generale si visse
un periodo di crescita culturale.
L’esodo dei musulmani dalla Sicilia
interruppe la tradizione di studi grammatici, lessicali e
giuridici, ma non impedì che la poesia continuasse
a fiorire. Scriveva De Sanctis
nella sua Storia della letteratura italiana: “La
Sicilia divenne il centro della cultura italiana. Fin dal
1166 nella corte del normanno Guglielmo II convenivano i trovatori
italiani. Sotto Federico II l’Italia colta avea la sua
capitale in Palermo. Tutti gli scrittori si chiamavano siciliani.
”Forse potrà apparire strano per molti, ma alla
corte di Federico II, l’arabo era una lingua praticata
con la stessa frequenza del greco e del latino.
Di certo parte della nostra storia culturale
merita di essere rivisitata, ripercorrendo - dove possibile
- sentieri cancellati dall’incuria e dall’ignoranza.
A ben vedere è come se un filo si fosse spezzato impedendoci
di comprendere lucidamente alcune vie della nostra storia
culturale, costringendoci oggi ad una visione sterile e parziale,
nella quale culture non-comunicanti e nettamente separate
l’una dall’altra si contrappongono. Problema posto
al centro dei suoi studi da parte dell’algerino Khaled
Foud Allam, attuale docente di Sociologia del mondo
musulmano e di Storia all’Università di Trieste.
Riferendosi ai suoi allievi afferma: “Ciò che
è grave non è la loro lacuna intellettuale,
ma l’oblio, la perdita di una memoria condivisa. E’
accaduto un divorzio fra storia e memoria. ”In tal senso
sarebbe importante ricordare - così come ci invita
a fare lostesso Allam - che il poeta più rappresentativo
della Sicilia medievale fu Ibn Handis, nato a Siracusa ed
autore di un canzoniere di seimila versi. In realtà,
sottolinea Francesco Stella: “in vari momenti della
sua storia e in diversi tratti la tradizione araba ha influenzato
la lirica occidentale e ne è stata influenzata, ma
oggi si stenta a percepire la poesia come un connotato distintivo
della cultura araba, come una dei vertici più elevati
della sua civiltà” . Questo articolo nasce proprio
dal convincimento che l’arte poetica esprime la parte
più intima dell’identità di una cultura,
più profondamente di qualsiasi altra creazione artistica
o di qualsivoglia strumento di comunicazione. E questo è
tanto più vero nel caso del mondo arabo, dove la poesia
ha rappresentato e rappresenta a tutt’oggi la sua massima
espressione artistica. Come scrive il poeta siriano
Adonis “dal puntodi vista linguistico, l’uomo
arabo è cresciuto in una cultura che considera la lingua
come la propria immagine parlante, e se stesso come un riflesso
di questa lingua. Essa è il simbolo primario dell’identità
araba.”
E’ da questa persuasione e non
senza una certa emozione, che mi sento di presentare come
primo intervento in questa rubrica un testo che considero
per certi versi esemplare. Stiamo parlando di Poeti Arabi
di Sicilia. Nella versione di poeti italiani contemporanei
a cura di Francesca Maria Corrao. Il testo è apparso
nella sua prima edizione nel 1987, per Arnaldo Mondadori.
Si tratta di un’antologia di poeti arabi di Sicilia
prima della riconquista normanna. Come ricorda nell’introduzione
la curatrice è a Michele Amari che va l’effettivo
merito di aver recuperato da diverse raccolte arabo-andaluse,
edite o manoscritte, la maggior parte dei testi a disposizione.
Il libro racchiude in se un progetto che trovo entusiasmante
ed unico per certi aspetti: si tratta di traduzioni dei poeti
dai poeti. La Corrao ha chiamato a raccolta i maggiori poeti
italiani del tempo, proponendo loro di impegnarsi nella traduzione
dei testi. Così come lei scrive “l’idea
di far tradurre a poeti italiani le poesie arabe di Sicilia
è nata come atto di omaggio verso autori che hanno
contribuito, anche se indirettamente, all’evoluzione
della nostra cultura”. Il procedimentousato è
così descritto: i testi raccolti sono stati proposti
nelle traduzioni esistenti, così che a ciascuno fosse
data l’opportunità di operare la scelta più
congeniale.
In un secondo momento è stata
realizzata una traduzione interlineare affiancata dalla trascrizione
in caratteri latini dell’originale arabo, e con esempi
della scansione metrica e di lettura del testo. In questo
modo è stato possibile vedere all’opera poeti
del calibro di Pagliarani, Porta, Raboni, Sanguineti, Zanzotto,
Luzi, e tanti altri. Poeti appartenenti a scuole diverse,
spesso non benevole fra loro ma qui uniti nel meraviglioso
e complesso esercizio di traduzione. Per dare un’idea
di quanto fosse diffusa e sentita l’arte del comporre
versi nella Sicilia araba basta ricordare che tra gli autori
figurano rappresentanti di diverse categorie sociali: gli
stessi principi mecenati, capi militari, giudici, lessicografi,
grammatici, vizir e funzionari dell’amministrazione.
Emblematica a mio avviso, per comprendere la portata del progetto
quanto scritto da Luciano Anceschi
nella prima introduzione al testo: “Ora citroviamo davanti
a una inquietante antologia di Poeti arabi di Sicilia nella
versione di poeti italiani contemporanei. E le domande si
fanno fitte, s’intrecciano con la sensazione di trovarci
piacevolmente tra l’altro e senza terrori all’interno
di un labirinto fertile di sorprese. ” E ancora, dall’alto
della sua colta modestia: “l’antologia è
piena di meraviglie e di sorprese dove la meraviglia e la
sorpresa sono anche una continua aggressione alla nostra ignoranza”.
Buona lettura ! |